di Olimpia Niglio

Non c’è dubbio che naviganti spagnoli e portoghesi nel 1542 erano approdati per la prima volta nell’arcipelago nipponico all’estremità orientale del continente asiatico. Probabilmente anche altre comunità europee, forse olandesi, avevano già varcato i confini di queste terre, ma solo dalla metà del XVI secolo iniziarono i primi importanti scambi commerciali tra Oriente e Occidente.

Intanto le relazioni culturali tra il Sol Levante e l’Occidente europeo trovarono una interessante radice nella prima e unica missione del gesuita Francesco Saverio (1506-1552) che nel 1534 aveva partecipato alla fondazione della Compagnia di Gesù voluta da Ignazio di Loyola e istituita a Parigi.

Nel 1539 proprio Francesco Saverio (Francisco de Jasso Azpilicueta Atondo y Aznares de Javier), grande patrono delle trasferte in Oriente, aveva presieduto a vari incontri per la programmazione delle missioni nelle lontane terre “lì dove sorge il sole”.

Dieci anni dopo, il 15 agosto del 1549, Francesco Saverio sbarcava sulle coste meridionali del Giappone, un paese allora diviso in 66 prefetture con un governo centrale molto indebolito dalle guerre interne e dai poteri locali dei daimyō, considerati dei veri e propri re. Molti di questi re locali avevano sostenuto l’arrivo dei religiosi occidentali che giungevano attraverso navi portoghesi cariche anche di materiali preziosi e armi da fuoco, molto utili per avanzare sul dominio dei territori interni ma anche interessati alle tecniche di navigazione degli europei che assicuravano maggiori condizioni di stabilità e sicurezza. Le intenzioni del viaggio in Giappone, da parte di Saverio, sono descritte in una lettera autografa indirizzata ai suoi confratelli e datata 20 gennaio 1548; intanto Saverio non poteva immaginare che sarebbe giunto in quelle terre ma non sarebbe più tornato in patria perché morì nel viaggio di ritorno sull’isola di Shangchuan nel mar della Cina Meridionale il 3 dicembre del 1552.

Nonostante il dialogo con le comunità locali non si fosse manifestato particolarmente incisivo, la Compagnia di Gesù non aveva rinunciato a continuare i suoi programmi missionari nelle terre del Sol Levante anche se, a differenza delle comunità cinesi, i rapporti con i giapponesi ben presto furono interrotti. Ma prima di questi eventi che hanno segnato fortemente la storia delle missioni in Giappone, nel 1579 era arrivato nelle terre nipponiche il gesuita Alessandro Valignano (1539-1606), già inviato cinque anni prima in Asia in qualità di Visitatore delle missioni delle Indie orientali. Abruzzese di nascita, Alessandro Valignano organizzò personalmente la sua missione in Giappone, affidando invece al suo confratello Matteo Ricci (1552-1610), marchigiano di Macerata, la missione in Cina. Una volta in Giappone, Valignano aveva valutato molto positiva la pratica dei bonzi della scuola buddhista zen ai quali i samurai riservavano grande rispetto e su questa stessa linea di comportamento cercò di attuare il suo avvicinamento alle comunità locali per la diffusione del cristianesimo.

1582 Ambasciata Tenshō dal Giappone in Italia

La grande impresa di Valignano fu l’organizzazione della prima ambasciata giapponese in Italia attraverso quattro nobili giapponesi convertiti al cristianesimo. I quattro ambasciatori giapponesi erano: Mancio Itō, Miguel Chijiwa, Julião Nakaura, Martinho Hara.

Sin dai primi anni della sua permanenza in Giappone, Valignano aveva molto caldeggiato il progetto della Ambasciata Tenshō, sostenuta anche da tre principi giapponesi: Ōmura Sumitada (1532–1587), Ōtomo Sōrin (1530–1587) e Arima Harunobu (1567–1612). La missione partì da Nagasaki il 20 febbraio 1582 e terminò otto anni dopo con il rientro nel luglio 1590. Precisamente questi ambasciatori sbarcarono nel porto di Livorno nel marzo del 1585, in piena Controriforma, ed erano arrivati in Italia proprio per offrire la loro obbedienza al papa Gregorio XIII e poi al suo successore papa Sisto V. Come indicato nel breve “Ex Pastoralis Officio” del 1585 papa Gregorio XIII riservò le missioni in Giappone ai soli Gesuiti. Nello stesso anno il 9 agosto i giovani giapponesi ripartirono dal porto di Genova dopo aver visitato anche altre città italiane come Pisa, Firenze, Siena, Viterbo, Bologna, Padova, Vicenza, Pavia e Milano, solo per citarne alcune e dove sono presenti anche testimonianze del loro passaggio come nel caso del teatro Olimpico di Vicenza con l’affresco monocromo attribuito ad Alessandro Maganza (1556-1632); ancora un dipinto anonimo presso l’Università Gregoriana che raffigura una delle udienze papali; mentre testimonianza più tarda è l’affresco presso il Casino dell’Aurora di Villa Ludovisi a Roma realizzato da Pietro Gagliardi (1809-1890) per il Principe Antonio Boncompagni Ludovisi (1841-1883), in cui si ritraggono vari momenti della vita di Papa Gregorio XIII Boncompagni.

Affresco del Gagliardi che commemora l’ambasciata giapponese del 1585 che incontrò Gregorio XIII nella Sala Regia del Palazzo Apostolico. Collezione Boncompagni Ludovisi, Roma

La missione in Italia ebbe grande risonanza in ambito ecclesiastico e non solo e riscosse grande successo ed anche curiosità ma il ritorno in Giappone non risultò altrettanto piacevole perché segnato da notizie poco rassicuranti. Infatti, proprio mentre gli ambasciatori giapponesi erano in viaggio per l’Italia il daimyō Toyotomi Hideyoshi (1536-1598), uno dei despoti più forti del Giappone e che aveva imposto forti restrizioni alle comunità locali sull’uso di armi nonché di esercitare anche le attività agricole, nel 1587 aveva introdotto regole severe a tutti coloro che professavano il cristianesimo, avviando così una campagna di sterminio e di chiusura totale verso tutto ciò che proveniva dall’occidente e che non fosse in linea con le culture locali. Fu questo solo l’inizio di un lungo periodo che va sotto il nome di “periodo Edo” e che ha visto il dominio della famiglia Tokugawa per oltre 250 anni (1603-1867) e durante il quale tutti coloro che professavano il cristianesimo erano perseguitati e martirizzati. Intanto dopo la conclusione della prima ambasciata giapponese in Occidente, nonostante la situazione in Giappone non era sicura per i missionari occidentali, i viaggi non furono interrotti ma intensificati e per tutti i primi anni del XVII secolo continuavano ad attraccare nelle isole a sud del Giappone diverse navi mercantili con missionari a bordo. Proprio in queste vicende si inserisce l’opera del missionario lucchese Fra Angelo Orsucci.

Il domenicano Angelo Orsucci di Lucca (1573-1622)

Figura di Angelo Orsucci di Lucca tratta dal volume di Padre Ludovico Ferretti (1923)

Il Giappone, prima dell’arrivo dei Gesuiti, non aveva conosciuto gravi contese religiose interne. La religione locale (shintoismo) non aveva posto ostacoli all’introduzione dei riti e delle credenze buddistiche importate dalla Cina sin dal V secolo d.C.; diversamente da quanto avvenne con il cristianesimo, il buddismo fu accettato, accordandosi facilmente con le filosofie e credenze locali tanto da dare vita ad interessanti forme sincretiche tuttora molto presenti in Giappone.

Contrariamente alla pratica buddista, i missionari cristiani erano meno tolleranti rispetto a quelle che spesso venivano definite “stranezze o stravaganze” di riti delle comunità locali.

 

 

Intanto i gesuiti avevano aperto la strada delle missioni in Giappone a cui ben presto si unirono anche gli ordini mendicanti e in particolare i domenicani e i francescani.

All’ordine domenicano apparteneva Fra Angelo Orsucci, nato a Lucca l’8 maggio 1573 e il cui nome di battesimo ero Michele. Apparteneva ad un’antica famiglia di Lucca, del ramo Orsucci dell’Aquila dapprima presenti nella città di Camaiore e poi dal 1339 a Lucca. Solo nel 1347 si stabilirono definitivamente nel palazzo Orsucci di via Guinigi nel centro della città.

Il 18 giugno 1589 Fra Angelo Orsucci aveva iniziato la sua professione religiosa entrando come novizio nel convento di San Romano per poi perseguire i suoi studi teologici a Viterbo nel Convento di Santa Maria della Quercia, dove fu ordinato diacono nel 1595. Continuò i suoi studi di teologia prima a Perugia e poi a Roma presso Santa Maria sopra Minerva. Sempre a Roma nell’anno giubilare 1600, Fra Angelo Orsucci ebbe un interessante incontro con alcuni padri spagnoli della missione presso le isole Filippine da cu apprese la necessità di aiuti ai missionari cristiani in Giappone a causa delle persecuzioni interne che proprio con lo shogunato Tokugawa erano state rafforzate con conseguenze molto drammatiche per tanti missionari occidentali.

Nonostante le notizie non erano rassicuranti Fra Angelo Orsucci non rinunciò a manifestare apertamente il suo interesse ad intraprendere il viaggio in quelle terre lontane, tanto da dedicarsi ad approfondire anche i suoi studi nelle scuole di teologia in Spagna e dal cui paese ebbero inizio poi i suoi viaggi oltreoceano. Proprio in Spagna, dal porto di Cadice il 7 maggio 1601 si imbarcò per raggiungere il Messico dove, dopo una pausa di quattro mesi, continuò il suo viaggio per le Filippine imbarcandosi dal porto di Acapulco il 4 febbraio del 1602 e raggiungendo il porto di Manila il 30 aprile dello stesso anno. Qui fu accolto presso un convento domenicano dato che già dalla metà del XVI secolo la corona di Spagna aveva fortemente incentivato la presenza degli ordini mendicanti, in particolare Francescani, Domenicani e Agostiniani accanto poi alla Compagnia di Gesù. Intanto le condizioni di salute di Fra Angelo ben presto furono messe a dura prova tanto che alla fine del 1609 i suoi confratelli decisero di riportarlo in Messico per curarlo. Fece poi rientro nelle Filippine che ovviamente considerava la sua patria missionaria quando nel 1615 iniziarono ad arrivare dal Giappone diversi missionari che fuggivano dalle repressioni e dalle minacce di morte imposte dallo shogunato Tokugawa a tutti i cristiani. Nonostante le notizie dal Giappone non erano rassicuranti Fra Angelo Orsucci con altri suoi confratelli e tre frati Minori a metà luglio del 1618 si imbarcò su una nave spagnola diretta in Giappone per andare in soccorso a quanti soffrivano e combattevano contro le repressioni imposte dal governo locale contro i missionari cristiani.

 

 

Fra Angelo, così il 12 agosto del 1618 sbarcò a Nagasaki dove incontrò il padre Francesco Morales, Vicario del Provinciale per la missione giapponese, che era stato già fra i Domenicani e il primo a sbarcare in quelle regioni, poi morto martire insieme a Fra Angelo.

Nonostante i suoi studi della lingua giapponese e i dialoghi con le comunità, le sue azioni ben presto accesero forti sospetti sul suo operato e così la sua vita fu sempre più segregata e spesso a riparo in case private. In realtà sin dal suo arrivo a Nagasaki la situazione si era manifestata complessa perché in una lettera datata 21 ottobre 1618 scriveva:

[…] I religiosi che stanno qui vanno in abito di mercanti, con la spada alla cintura, come è costumanza degli Spagnoli, e vivono nascosti nelle case dei Giapponesi, ove di notte si dice messa e si confessa. A questa buona terra sono venuto quest’anno, e sto in casa di un Giapponese; e quando vado per la città, vado in abito e col modo di mercante, colla spada alla cintura, senza corona alla testa e porto i barbigi come gli altri Spagnoli […].

Il 13 dicembre 1618 un agguato notturno delle milizie giapponesi entrò in varie case private per catturare i missionari cristiani o aderenti al movimento dei cristiani. Fra i missionari nessuno fu risparmiato e anche Fra Angelo fu costretto ad arrendersi e ad accettare la cattura; stesso destino toccò al padre Carlo Spinola, genovese, della Compagnia di Gesù, che da sedici anni lavorava eroicamente alla conversione dei giapponesi. Dopo un lungo interrogatorio sette missionari tra cui Orsucci, Spinola e Morales furono trasferiti nella città di Omura e da qui poi rinchiusi nel carcere di Suzuta. Il 23 novembre del 1621 alcuni missionari, tra cui il Domenicano P. Francesco Morales e il P. Spinola gesuita, furono trasferiti sull’isola di Hirado (nota anche con il nome di Hiranoshima o Firando) per essere interrogati. Purtroppo, i destini dei missionari si ritrovarono a vivere le fiamme del martirio. In particolare, Fra Angelo Orsucci fu tra coloro che furono trasferiti a Nagasaki per prepararsi al martirio che avvenne poco dopo il mezzogiorno del 10 settembre 1622.

Iconografia del martirio di Nagasaki del 10 settembre 1622. Nel cerchio sono rappresentati nel centro padre Angelo Orsucci e alla sua sinistra il gesuita Carlo Spinola

In questo stesso anno moriva nella prefettura di Miyagi il samurai Tsunenaga Hasekura Rokuemon, servitore del daimyō Date Masamune di Sendai, che aveva sfidato il suo governo tanto che nel 1613 fu promotore della nuova ambasceria Keicho che partì proprio da Sendai per dirigersi prima in Messico attraverso il Pacifico per poi raggiungere l’Europa e l’Italia dove consegnò al papa Paolo V una preziosa lettera decorata d’oro, contenente una formale richiesta di un trattato commerciale tra Giappone e Messico, oltre che l’invio di missionari cristiani in Giappone. Di lui si conserva un bellissimo ritratto dell’artista Claude Deruet del 1615 e conservato presso la Galleria Borghese in Roma nonché un affresco presso il Quirinale.

Tsunenaga Hasekura Rokuemon (1615) in un dipinto di Claude Deruet eseguito durante la missione nipponica a Roma nel 1615, Collezione Borghese

Anche per lui il rientro in Giappone nel 1620 fu particolarmente devastante perché durante gli anni della sua assenza tante cose erano cambiante e le persecuzioni cristiane si erano inasprite tanto che non sono mai state note le motivazioni della sua morte. Alcuni sostengono che morì da cristiano professando la sua fede di nascosto e chiedendo di custodire le sue ceneri presso il tempio buddista di Enfukuji nella prefettura di Miyagi.

Purtroppo, in Giappone i martiri non avevano coinvolto solo i religiosi ma anche i cittadini convertiti e le persecuzioni durarono molti anni, fino a tutta la metà del XIX secolo quando con la fine dello shogunato Tokugawa e il ritorno della famiglia imperiale al potere e quindi con l’inizio del periodo Meiji (1867-1912) ebbe inizio anche la libertà religiosa e l’inizio dei primi dialoghi interreligiosi.

Ritratto di Tsunenaga Hasekura Rokuemon (1616) presso il Salone dei Corazzieri nel Palazzo del Quirinale a Roma

2022 Ambasciata Diocesana Lucchese dall’Italia in Giappone

Così dopo esattamente 470 anni dalla morte di Francesco Saverio (1552), primo missionario gesuita in Giappone; 440 anni dalla prima ambasciata giapponese in occidente (Ambasciata Tenshō, 1582) e 400 anni dalla morte del missionario domenicano Angelo Orsucci di Lucca, morto a Nagasaki il 10 settembre 1622, l’ambasciata diocesana italiana di Lucca dal 4 all’11 settembre 2022 raggiungerà le coste dell’isola di Kyushu in Giappone per omaggiare i missionari lucchesi, che in differenti epoche storiche, hanno dedicato la propria vita al dialogo interreligioso nelle terre del Sol Levante.

 

 

L’ambasciata diocesana lucchese, presieduta dall’arcivescovo di Lucca Paolo Giulietti, porterà omaggio a tutti i missionari che hanno operato ma che continuano a svolgere il proprio servizio in Giappone e in particolare parteciperà alle celebrazioni per i 400 anni dalla morte del Beato Angelo Orsucci insieme alla comunità di Nagasaki e all’arcivescovo Peter Michiaki Nakamura.

Durante le diverse visite programmate tra la prefettura di Nagasaki e di Saga nel sud del Giappone sarà reso un omaggio anche a due missionari lucchesi che si sono particolarmente distinti nelle opere svolte nelle terre nipponiche nel XX secolo. Si tratta dei missionari Fedele Giannini (1927 Castelnuovo di Garfagnana, Lucca – 2002 Nirasaki) e Allegrino Allegrini (1926 Brancoli, Lucca- 2006 Saga) entrambi missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere.

Padre Fedele era giunto in Giappone nel 1954 e qui è stato parroco della chiesa da lui istituita a Nirasaki nella prefettura di Yamanashi sull’isola di Honshū e confinante con la prefettura di Tokyo. Proprio presso l’Istituto a Nirasaki fu Superiore Generale dal 1977 al 1983. La forza della sua missione è stata quella di considerare la fede una scelta personale cosciente e vissuta in una cultura “secolarizzata” come in Occidente. Uno dei suoi segreti era la conservazione della “memoria” e la fortissima identità cristiana. Ancor oggi i cristiani che discendono dai “martiri” ricordano i loro “antenati” e pregano per loro. Morì il 14 gennaio 2002 e le sue spoglie riposano presso il cimitero cattolico di Fuchū-shi a Tokyo.

Sempre dalla Lucchesia era giunto in Giappone nel 1950 padre Allegrino Allegrini, ordinato sacerdote nel 1949 e subito inviato come missionario in Giappone. Dopo un breve periodo presso la missione nella prefettura di Yamanashi, si stabilitì definitivamente nella prefettura di Saga sull’isola di Kyushu, lì dove molti suoi confratelli nei secoli precedenti avevano perso la vita in nome del cristianesimo.

Giappone, 1962: Padre Allegrino Allegrini in un albergo di Yokohama – Yamanashi/Kofu, con una famiglia che festeggiava il 77° compleanno di una donna cattolica, il cui marito defunto è rappresentato nella foto (Archivio PIME)

Allegrini ha avuto un ruolo fondamentale perché è stato tra i primi a porre le basi sul concetto di “dialogo come missione”, cioè la parola come stile della missione. Padre Allegrini aveva intuito il servizio autentico del dialogo interreligioso e non esitò ad intraprendere una strada complessa ma importante per seminare pazientemente la parola di Cristo. Come lui stesso spesso ricordava, annotando le sue origini contadine, la sua missione era quella di “coltivare” con pazienza relazioni con gli shintoisti e i buddisti e di “produrre” buoni frutti come la stima e la fiducia nei confronti della fede cristiana. Morì il 3 aprile 2006 e fu sepolto presso il cimitero della parrocchia di Saga dove si trova tuttora.

Ringraziamenti. Per la elaborazione dell’ultimo paragrafo di questo articolo si ringrazia sentitamente per la collaborazione Michelle Sopala (focolarina in Nagasaki), Padre Claudio OFM in Nagasaki e la saveriana Maria De Giorgi del centro di spiritualità e di dialogo interreligioso “Shinmeizan” in Nagomi-machi (prefettura di Kumamoto).

Riferimenti bibliografici

Saverio F. (1548), Lettera ai compagni residenti in Roma, Cochìn, 20 gennaio 1548, in A. Caboni (trad.), Dalle terre dove sorge il sole. Lettere e documenti dall’Oriente 1535-1552, Città Nuova, Roma, 2002, pp. 201-213.

Comisi F. (2019), Il viaggio della prima ambasciata giapponese presso la Santa Sede (1582-1590). Percorsi e nuovi documenti dall’Archivio di Stato di Massa, Studia Ligustica, Biblioteca Franzoniana, Genova.

 

 

Ferretti P. L. (1923), Vita del Beato Angelo Orsucci da Lucca dei Frati Predicatori martirizzato nel Giappone il 10 settembre 1622, Stabilimento tipografico Riccardo Garroni, Roma

Niglio O. (2018), Paesaggio sacro e architettura cristiana nella prefettura di Nagasaki, Aracne editrice, Roma.

Valignano Alessandro, Di Russo Marisa (a cura di), Airoldi Pia Assunta (traduzione), Maraini Dacia (presentazione), Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla curia romana e sulle cose osservate in Europa e durante tutto il viaggio, basato sul diario degli ambasciatori e tradotto in latino da Duarte de Sande, sacerdote della Compagnia di Gesù, Firenze, Biblioteca dell’“Archivum Romanicum”, Olschki, 2016

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Nagasaki: a 400 anni dai martirii cristiani (10 settembre 1622-2022) un ricordo del Beato Angelo Orsucci di Lucca

Dal 4 all’11 settembre 2022 una delegazione diplomatica diocesana della città di Lucca, presieduta dall’Arcivescovo Paolo Giulietti, insieme ad una delegazione diplomatico-culturale dell’Università di Pavia sarà a Nagasaki, in Giappone, per le celebrazioni degli eventi storici che hanno interessato i missionari italiani e in particolare il Beato Angelo Orsucci, nato a Lucca l’8 maggio 1573 e morto martire a Nagasaki il 10 settembre 1622. L’Università di Pavia sarà rappresentata dalla professoressa Olimpia Niglio della Facoltà di Ingegneria e già accademica nel Sol Levante fino a tutto il 2021.

La delegazione italiana sarà ricevuta dall’Arcivescovo Peter Michiaki Nakamura, da alti funzionari delle istituzioni della prefettura di Nagasaki e dalla dirigenza della Nagasaki Prefectural Music Federation. Il programma è finalizzato a conoscere il ricco patrimonio culturale dei “Kakure Kirishitan” (Cristiani Nascosti) le cui persecuzioni, iniziate alla fine del XVI secolo, hanno prodotto una eredità quando mai unica e che dal 2018 è Patrimonio Mondiale dell’Umanità. In particolare, la professoressa Niglio ha lavorato, per oltre quattro anni, nel gruppo di ricerca giapponese per la messa a punto della valorizzazione del patrimonio culturale del cristianesimo nascosto al fine di includere questi beni nella lista dei siti UNESCO e curandone poi anche delle specifiche pubblicazioni.

Così dopo esattamente 470 anni dalla morte di Francesco Saverio (1552), primo missionario gesuita in Giappone; 440 anni dalla prima ambasciata giapponese in occidente (Ambasciata Tenshō, 1582) e 400 anni dalla morte del missionario domenicano Angelo Orsucci di Lucca (1622-2022), l’ambasciata diocesana italiana di Lucca dal 4 all’11 settembre 2022 raggiungerà le coste dell’isola di Kyushu in Giappone per omaggiare i missionari lucchesi, che in differenti epoche storiche, hanno dedicato la propria vita al dialogo interreligioso nelle terre del Sol Levante.

Durante le diverse visite programmate tra la prefettura di Nagasaki e di Saga nel sud del Giappone sarà reso un omaggio anche a due missionari lucchesi che si sono particolarmente distinti nelle opere svolte nelle terre nipponiche nel XX secolo. Si tratta dei missionari Fedele Giannini (1927 Castelnuovo di Garfagnana, Lucca – 2002 Nirasaki) e Allegrino Allegrini (1926 Brancoli, Lucca- 2006 Saga) entrambi missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere.

 

 

La delegazione italiana sarà ricevuta anche da padre Claudio Bianchin OFM, missionario a Nagasaki e dalla missionaria saveriana Maria De Giorgi del centro di spiritualità religiosa Shinmeizan, presso la Prefettura di Kumamoto.

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