Dall’India alla Corea del Sud, passando per la Palestina e l’Arabia Saudita, è tutto un pullulare di metropoli fondate da zero: tutte all’insegna di progetti futuristici e innovativi. La più impressionante è Gift, nel Gurajat, che mira a superare Mumbay e fare concorrenza ai centri finanziari di Tokyo e Londra

«Si trova proprio in mezzo allo stato di Gujarat, a 12 chilometri dall’aeroporto internazionale di Ahmedabad, sul fiume Sabarmati, circondata da quasi milleduecento ettari di verde…». Sembra un annuncio immobiliare. E lo è. Ma molto particolare: qui “in vendita” è un’intera città, e per giunta non ancora costruita. Si chiama Gujarat International Finance Tec-City (in acronimo Gift che vorrebbe poi dire “regalo” in inglese) e sta in India. Di Gift, e di altre 10 città nuove si parlerà in un forum internazionale che avrà luogo il 25 e 26 novembre a King Abdullah Economic City (in acronimo Kaec) in Arabia Saudita, e anche questa è una città in formazione. Sono tutte futuristiche e ai futuristi sarebbe piaciute. Non solo perché tutte basate su quanto di più tecnologico sia oggi disponibile, ma anche per il disegno architettonico, che in tanti aspetti ricorda quello dei disegni immaginate da Antonio Sant’Elia. L’annuncio volto ad attirare l’attenzione, e gli investitori, su Gift prosegue per pagine e pagine che descrivono i dettagli del grande progetto: il traffico vi scorre sicuro perché sono eliminate tutte quelle condizioni che possono causare incidenti, vi sono camminamenti pedonali con ponti per superare le strade carrabili, i trasporti pubblici interni sono perfettamente coordinati con quelli esterni dall’Intelligent Transport System. Gift sta nascendo ora, ma ha il progetto ambizioso di superare Mumbay come luogo di riferimento per la finanza indiana: maggiore efficienza e minori costi. Stando al progetto, è destinata a superare anche i centri finanziari di Parigi, Londra, Tokyo e Pudong. Se questi dispongono di aree estese rispettivamente su 1,6, 1,05, 1,6 e 1,7 chilometri quadrati, Gift disporrà oltre 3,5 kmq: tutti per grattacieli destinati a operazioni finanziarie o in subordine all’information technology. Così darà un impulso sostanziale all’economia indiana: varie statistiche, pubblicate nel sito di Gift, mirano a dimostrare che quanto maggiore è il numero di persone impiegate nella finanza, tanto meglio funziona l’economia di un paese. Sembra insomma che Gift sorga in un altro mondo, un “mondo nuovo”, nel quale tutte le città che stanno sorgendo sono “intelligenti”, tecnologiche, basate sui settori di punta dell’economia e circonfuse da un tono di appeal turistico: gli affari vanno meglio se l’ambiente è gradevole.

Del resto non era così un tempo Hong Kong, epicentro finanziario e commerciale in terra cinese ma anche ambito luogo di vacanza? Ora, a confronto con queste realtà emergenti la vecchia Hong Kong sembra quasi obsoleta. Perché le nuove città sono come macchine. Per dire, sempre a Gift la spazzatura si raccoglierà automaticamente con un sistema di tubature che la porteranno direttamente nelle riciclerie dove sarà rielaborata per essere usata in parte come combustibile in parte come concime. Tutto sarà fatto sul momento (“in tempo reale”) la connettività sarà assoluta e permanente. Oltre che sull’efficienza, la propaganda della città ospite, l’Economic City saudita, punta sull’amenità del luogo. Là dove c’era il deserto, ora la città sul Golfo tra Arabia e Persia si protende in pontili ad arco come mezzelune, lungo i quali si allineano le imbarcazioni di lusso, con spiagge da sogno. Il porto commerciale rientrerà tra i dieci più trafficati del mondo perché c’è anche una zona industriale, chiamata “industrial valley”, per analogia con la “Silicon valley” californiana dove è fiorita l’industria dell’informatica. Ci saranno zone degli affari, zone residenziali, collegi universitari, ospedali tra i più avanzati al mondo… Una vera grande città. Estesa su circa 168 chilometri quadrati (il doppio di Manhattan) ospiterà due milioni di persone. È in avanzata fase di realizzazione, con grattacieli, zone dense di ville, viali costeggiati da palazzi residenziali, il lungomare già ampiamente popolato: una nuova Riviera per il jet set. E, pur nel linguaggio contemporaneo, gli archi a cuspide e le cupole ricordano la tradizionale architettura araba. A un’ora di viaggio ci sono la Mecca e Medina, i due centri fondanti del mondo islamico. I petrodollari accumulatisi nel tempo stanno facendo di questa zona uno dei baricentri del futuro; sarà il fiore all’occhiello dell’Arabia sul proscenio internazionale. Il suo sviluppo è pilotato da un enorme impulso imprenditoriale e non a caso è presentata come il «maggiore progetto economico diretto dal settore privato nel Medio Oriente».

Nel convegno di novembre un altro protagonista sarà HafenCity di Amburgo, che si presenta come il modello per la riprogettazione della città europea. Qui l’area interessata è di 157 ettari nel porto e su loti già sedi di impianti industriali, il cuore dell’antica città anseatica. Il progetto è partito nel ’97 e si concluderà nel 2025. Lo scopo: aprire spazi per la cultura, le arti, il divertimento, il lavoro, il turismo, lo shopping. Una parte, zona ovest, è già pronta e vi vivono 2000 persone, vi hanno sede 450 società, vi lavorano mille e quattrocento persone.

Novemila sono impegnati nella costruzione di questo nuovo centro urbano che unisce le memorie del vecchio porto al suo nuovo volto. Fra le altre città di fondazione o rifondazione, rappresentate nel forum di novembre c’è Iskandar, nel sud della Malesia, città-ponte con le altre realtà emergenti in Asia. In questa città saranno sviluppate cinque nuove aree: parchi tecnologici, un nuovo aeroporto, un campus universitario, un centro medico e una zona per il libero commercio.

Poi, Lavasa, la prima città indiana costruita ex novo da un singolo imprenditore su un terreno collinare presso il lago Warasgaon, su progetto elaborato da uno studio americano secondo i principi delle “new town”, ovvero città concepite secondo un disegno “antico”  case di pochi piani con cortili, tetti a falde e niente facciate vetrate. Si prevedono 300 mila abitanti in diversi piccoli centri collegati, così che tutto resti sempre strettamente legato alla natura. E ci saranno residenze, università, centri ricerca. Ancora, Putrajaya in Malesia: prototipo della città giardino del XXI secolo, tra parchi, laghetti. Ospiterà il nuovo centro amministrativo del governo federale. Quasi il 40 per cento della sua superficie sarà lasciata a parco, il resto sarà edificato – una specie di piccola “Brasilia” in Asia. Sempre in Asia, Songdo, in Corea del Sud: è stata la prima città al mondo progettata come centro per gli affari a livello internazionale ed è stata aperta nel 2009. Costruita su un’isola artificiale di circa 6 chilometri quadrati, è collegata da un ponte autostradale all’aeroporto di Incheon. Dovrebbe essere completata per il 2015 e contenere circa 40 mila nuovi appartamenti. Alcune porzioni di città sono fatte a imitazioni di altre zone urbane famose, quali il Central Park e i canali veneziani. Ma c’è anche Rawabi, la prima città totalmente pianificata e costruita ex novo in Palestina: un insediamento su una collina, edifici ad anfiteatro attorno a una grande piazza; ospiterà 40 mila persone. È in costruzione e il progetto comporta tutto quanto riguarda la sostenibilità ambientale, ridotti consumi energetici, telecomunicazioni. Infine, avvicinandosi all’Europa, Sokolkovo presso Mosca: una zona suburbana totalmente dedita alla ricerca e all’innovazione. Lo scopo è di renderla totalmente autosufficiente quanto a necessità energetiche. Occupa 400 ettari e già vi operano quasi mille nuove imprese (in gergo, “start-up”). Quando sarà completata ospiterà 25 mila residenti. Oltre alla ricerca della sostenibilità ambientale e di quanto di più progredito la tecnica offra, caratteristica di quasi tutti questi nuovi centri urbani non sono i grattacieli, ma che il loro sviluppo è promosso con piglio imprenditoriale e in prevalenza da privati. Perché ai nostri giorni si parla ovunque il linguaggio dell’economia. E, almeno in questi casi, “economia” non vuol dire tagliare, ridurre, contenere i costi, bensì investire, costruire, preparare un futuro migliore. La sfida vera sarà evitare che questi nuovi paradisi urbani, coi loro giardini e i loro specchi d’acqua scintillanti, non siano isole lontane in cui si riversino denari che potrebbero fertilizzare le tante aree di povertà, vecchia e nuova, ancora esistente nel mondo.

tratto da : Avvenire 11/10/2013

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