Da Pitagora alla Società 5.0: Verso la valorizzazione del Patrimonio Umano

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di Olimpia Niglio

Il contributo prende spunto da una serie di Lectures che l’autrice in questi mesi sta svolgendo in diverse istituzioni accademiche internazionali tra Asia e America, sul ruolo delle istituzioni e della comunità per lo sviluppo delle politiche culturali e la tutela del patrimonio del mondo.

Mai come oggi l’antica filosofia greca ci fornisce delle chiavi di lettura molto interessanti alla luce delle novità e delle opportunità che si prospettano osservando con attenzione il presente proiettato verso il futuro. E mai come oggi l’antica filosofia greca ci guida verso un nuovo e interessante cammino umanistico in grado di mettere al centro il valore delle comunità e pertanto delle persone.

Con questa prospettiva risulta molto stimolante leggere la realtà nella quale viviamo alla luce di un processo matematico in grado di aiutarci ad intendere i motivi per i quali le differenti situazioni che ci circondano spesso differiscono tra loro pur essendo, le rispettive finalità, molto convergenti.

Tuttavia, questo processo matematico è congiunto ad un altro percorso molto avvincente che è quello delle relazioni internazionali e pertanto di quelle istituzioni che promuovono azioni e progetti per la salvaguardia della nostra casa comune. Intanto alcuni richiami storici risultano fondamentali per intendere il percorso che sarà intrapreso in questo contributo.

Infatti, nel mese di giugno del 1945, con la conclusione del Secondo conflitto mondiale nasce l’Organizzazione delle Nazioni Unite e la conseguente pubblicazione della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” e a seguire, nel novembre del 1945, l’istituzione dell’United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO) creata proprio con lo scopo di promuovere il rispetto universale per la giustizia, per lo stato di diritto, e libertà fondamentali e per i diritti umani.

In particolare, con riferimento alla “Dichiarazione dei Diritti Umani” composta da 30 articoli, si citano in questa circostanza due articoli:

Art.1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Art.21. 1. Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti. 2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese. 3. La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo […].

Tutto questo trova importanti riferimenti nelle organizzazioni dei principali paesi aderenti all’ONU anche se non tutti poi sono in grado di mettere in pratica onestamente questi fondamentali presupposti. Se analizziamo questi stessi temi alla luce del significato che ha il Patrimonio Culturale in quanto Patrimonio Umano nelle differenti culture, allora non è difficile riscontrare delle forti divergenze tra ciò che sono i diritti dell’uomo e ciò che avviene nel rispettare e mettere in pratica tali diritti nonché doveri.

Ma il tema dei diritti umani è strettamente connesso a quello delle Politiche Culturali che i singoli stati membri dell’ONU devono applicare all’interno delle singole nazioni. Qui entra in gioco un altro importante documento internazionale rappresentato da una meno nota Dichiarazione internazionale, ma non per questo meno importante della precedente, promulgata e diffusa dall’UNESCO e dal titolo “Dichiarazione di Città del Messico sulle Politiche Culturali” dell’agosto 1982.

Il documento, composto da 52 articoli, apre una significativa riflessione sul significato e il valore delle politiche culturali che ogni paese membro dell’ONU deve applicare sui propri territori e nell’ambito delle azioni di governo. In questa circostanza si citano 3 articoli:

Art. 4. Tutte le culture fanno parte del patrimonio comune dell’umanità. L’identità culturale di un popolo è rinnovata e arricchita dal contatto con le tradizioni e i valori altrui. La cultura è dialogo, scambio di idee ed esperienze, apprezzamento di altri valori e tradizioni […].

Art.11 È essenziale umanizzare lo sviluppo; il suo scopo è la persona nella sua dignità individuale e nella sua responsabilità sociale. Lo sviluppo presuppone la capacità di ogni individuo e di ogni persona di informarsi, di imparare e di comunicare le proprie esperienze.

Art.14. L’uomo è l’inizio e la fine dello sviluppo.

Così a partire da questa Dichiarazione, circa quarant’anni orsono, è stato proposto il riavvio di un percorso di umanizzazione al fine di dare maggiore slancio a principi fondativi dell’esistenza umana. Principi che trovano radici nell’Illuminismo Europeo del XVIII secolo, nei chiari riferimenti al Rinascimento italiano ma principalmente nell’insegnamento dell’antica filosofia greca.

Quest’ultima, infatti, aveva compiuto un enorme sforzo di qualità incentrando tutto sul valore dell’uomo e sull’esigenza di una verità universale. Era il pensiero di Socrate, trasmessoci da Platone, che si ricollega alla Sofistica e da questa si muove tutto nella direzione di voler unire il tema della conoscenza con il tema dell’etica nell’ottica di costruire una morale oggettiva ed universale.

Socrate sosteneva che il principio di “intellettualismo etico”, secondo il quale basta conoscere il bene per praticarlo, sia fondamentale per fondare tutto sulla verità, ossia su quella forza che vince e domina ogni altra cosa che guida la nostra vita; la conoscenza della verità, infatti, ci induce a vivere conformemente ad essa. All’intellettualismo etico si contrappone però il “volontarismo etico” secondo il quale le azioni dell’uomo sono esclusivamente legate a passioni ed istinti e che ognuno in base a queste caratteristiche persegue il bene o il male. Ma in questo ultimo caso la conoscenza e quindi il sapere non è un fondamento necessario per l’uomo, anzi questo è sopraffatto dal “non-sapere”. Intanto solo la conoscenza potrà salvare l’uomo a perseguire la verità e quindi il bene (Severino, 1987).

Intanto prima di Socrate la conoscenza della realtà era stata approntata anche attraverso lo studio dei numeri, elementi fondamentali per conoscere l’armonia dell’universo. Infatti, secondo Pitagora, filosofo e matematico greco, i numeri sono importanti per conoscere e studiare i fenomeni che ci circondano. Così la dottrina che caratterizza, più comunemente, la filosofia pitagorica è quella che considera il numero come essenza di tutte le cose, in quanto ogni aspetto del reale, attraverso il numero, può essere ricondotto a una reciproca relazione o armonia di quantità numerabili. Modello per eccellenza è la composizione musicale dove la concordanza tra i suoni si conforma attraverso la sinfonia e gli intervalli matematici definiscono la musica (Capparelli, 1988).

Ed è proprio il principio di verità socratico e il valore dei numeri pitagorici che ci vengono in aiuto per rianalizzare i contenuti delle Dichiarazioni Internazionali innanzi enunciate con particolare riferimento al ruolo che oggi più che mai, giocano le Istituzioni e le Comunità nella valorizzazione del Patrimonio Umano (Niglio, 2016).

Ne scaturisce una lettura critica alquanto interessante, che mette in primo piano proprio le leggi pitagoriche con riferimento alla figura geometrica del triangolo. Infatti, se analizziamo i diritti umani espressi dalla Dichiarazione del 1945 e il ruolo che l’uomo ha nella definizione delle politiche culturali come espresse nella Dichiarazione del 1982 non è difficile dimostrare la diretta rispondenza che questi concetti hanno con la definizione dell’area di un triangolo nella geometria piana secondo cui l’area di un triangolo qualsiasi è uguale al prodotto della base per la sua altezza e il tutto diviso per due.

Se ora analizziamo attentamente la figura del triangolo e alla base (B) attribuiamo il concetto di “Comunità” e quindi di “Patrimonio Umano” e all’altezza (H) l’insieme delle Istituzioni che convergono nella definizione e gestione delle politiche culturali, non è difficile intuire che l’area di questo triangolo rappresenta proprio lo sviluppo delle politiche culturali determinate dalla stretta relazione tra Comunità (B) ed Istituzioni (H). Figura 1.

Fig.1. Differenti relazioni tra Comunità (B) e Istituzioni. Fonte dell’autore

Nasce così la “Legge del Triangolo” secondo la quale la società ha una chiara struttura piramidale alla cui base (B) incontriamo la Comunità e lungo l’altezza (H), che delinea lo sviluppo del triangolo, si collocano le varie Governances dei territori: dal Governo centrale, alle istituzioni locali, alle associazioni di categoria, alle fondazioni, etc…

Ovviamente maggiore è la differenza, in termini numerici, tra la Comunità (B) e le Istituzioni (H) e maggiore sarà la verticalità del triangolo che rafforza il principio di una società piramidale dove sempre meno incidente sarà il contributo decisionale della Comunità.

Pertanto se rileggiamo i principi enunciati dalle due precedenti Dichiarazioni internazionali non è difficile intuire che il risultato ottimale si ottiene quanto le politiche culturali sono il risultato di un prodotto derivato dal principio di equità tra Comunità (B) e Istituzioni (H), ossia quando i loro pesi decisionali e quindi i loro valori numerici sono uguali tra loro (Figura 2, H=B).

Fig.2. Differenti relazioni tra Comunità (B) e Istituzioni. Fonte dell’autore

Differentemente all’aumentare del peso istituzionale (H) si riduce il contributo comunitario (B) e pertanto si verticalizza fortemente la struttura del triangolo con la conseguente variazione dell’area interna e quindi del peso delle politiche culturali (Figura 2, H>B). Infatti, questa variazione la possiamo leggere anche con riferimento all’aumento dell’incidenza partecipativa della comunità (B) rispetto alla riduzione del contributo istituzionale (H) che comporterà una società meno piramidale ma anche meno rappresentativa da un punto di vista istituzionale (Figura 2, H<B). In entrambi questi ultimi due casi si riscontra chiaramente una riduzione del valore delle politiche culturali (in quanto l’area del triangolo si riduce proporzionalmente) e questo dato certamente non favorisce un “Buon Governo” volendo riferirci ai propositi dell’affresco trecentesco di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) nel Palazzo Comunale di Siena.

Auspicabile è pertanto la soluzione che vede una equità tra la Comunità (B) e le Istituzioni (H) e pertanto H=B. Intanto in questa posizione siamo ancora all’interno di una società a struttura piramidale.

Ciò che ora dobbiamo compiere è uno sforzo ulteriore e quindi strutturare tutte quelle condizioni affinché questo triangolo possa trasformarsi in un cerchio la cui area è determinata dal rapporto tra il raggio per il raggio stesso (quindi raggio elevato al quadrato) e per il fattore π ossia una costante matematica a cui corrisponde il valore qui semplificato pari a 3,14.

Nasce così la “Legge del cerchio” dove gli n raggi che definiscono il cerchio costituiscono le Istituzioni (R) e la costante matematica π definisce la Comunità.

Ne deriva così che l’area del cerchio è rappresentata dal prodotto della costante matematica (Comunità) per le Istituzioni, le cui misure sono basate sul principio di equità perché i raggi sono uguali e pertanto il peso delle politiche culturali dipenderà molto da questa opportunità di una Governance basata sull’equità (Figura 3). Questo significa che non ci sono prevaricazioni istituzionali se non dialoghi tra entità che operano sulla base delle specifiche competenze e non per autorità. Fattore determinante ovviamente è la costante matematica π senza la quale non si avrebbe quel fattore moltiplicatore fondamentale per la corretta definizione delle politiche culturali.

Fig.3. Legge del cerchio (politiche culturali) e relazione tra Comunità (π) e Istituzioni (r). Fonte dell’autore

Quanto più grande sarà l’incidenza equa del raggio, maggiore sarà l’area ottenuta moltiplicando tale “Equità Istituzionale” con il fattore π di Comunità.

Nasce così una società includente, partecipativa e attiva sul piano sociale, politico ed economico.

La “Legge del cerchio” consente quindi di mettere al centro l’uomo, di concretizzare i principi enunciati nelle Dichiarazioni del 1945 e 1982 nonché di mettere in atto nuove prospettive di Governance che trovano un interessante e fondamentale riferimento nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, [https://www.un.org/sustainabledevelopment/development-agenda/] ratificata nel gennaio 2015 e fortemente implementata negli studi condotti in Giappone già da alcuni anni in merito alla Society 5.0.

Nel 2015 nel “Report Science” pubblicato da UNESCO il professor Yasushi Sato dell’Università di Niigata ha presentato i primi riscontri riguardanti la Smart Society, un concetto di ampia portata rispetto alla “Quarta Rivoluzione Industriale”, perché prevede di trasformare completamente lo stile di vita attraverso l’apporto delle tecnologie e quindi unendo la frontiera tra il cyberspazio e lo spazio fisico. Il termine di “Smart Society” si riferisce all’idea che la Società 5.0 seguirà la società 1.0 (cacciatori-raccoglitori), la società 2.0 (agricoltura), la società 3.0 (industrializzata) e la società 4.0 (informatizzazione: v. la Figura 4).

Differentemente da queste ultime, la Society 5.0 prevede un sistema socio-economico sostenibile e inclusivo, dove vige il principio di equità prima enunciato nella “Legge del cerchio” e alimentato da tecnologie digitali come l’analisi dei grandi dati, l’intelligenza artificiale (IA) e della robotica. Pertanto, il “sistema cyberfisico”, in cui il cyberspazio e lo spazio fisico sono strettamente integrati, diventa una modalità tecnologica pervasiva a supporto della società 5.0. [https://en.unesco.org/sites/default/files/usr15_japan.pdf].

Il passaggio alla Society 5.0 è considerato simile alla “Quarta Rivoluzione Industriale”, e il cambiamento che comporta è ormai in fase attuativa sotto tanti punti di vista e l’evento pandemico che nel 2020 ha colpito tutto il mondo testimonia proprio l’avanzare di questa nuova società. Tuttavia, la società 5.0 è un concetto di ampia portata, in quanto prevede una completa trasformazione del nostro stile di vita.

Tutto dovrà dialogare all’interno di un sistema basato sull’equità dove anche le Istituzioni non sono più quelle che noi osserviamo oggi, ma differentemente vere e proprie strutture informatizzate in grado di fornire servizi ottimali in relazione alle esigenze delle persone. Allo stesso tempo, la società 5.0 aiuterà a superare le sfide sociali croniche come l’invecchiamento della popolazione, la polarizzazione sociale, lo spopolamento e i vincoli legati all’energia e all’ambiente.

Fig.4. Society 5.0 (Japan Business Federation)

Nella società 5.0, i veicoli autonomi e i droni porteranno beni e servizi alle persone nelle aree spopolate. I clienti potranno scegliere la taglia, il colore e il tessuto del loro abbigliamento online direttamente dalla fabbrica di abbigliamento prima di farselo consegnare con i droni. Un medico potrà consultare i suoi pazienti nel comfort della propria abitazione tramite un’apposita tavoletta. Mentre li esamina a distanza, un robot potrebbe passare l’aspirapolvere sul tappeto. Nella casa di cura in fondo alla strada, un altro robot potrebbe aiutare a prendersi cura degli anziani. Nella cucina della casa di cura, il frigorifero monitorerà le condizioni degli alimenti conservati per ridurre i rifiuti. La città sarà alimentata da energia fornita in modo flessibile e decentralizzato per soddisfare le esigenze specifiche degli abitanti. In periferia, i trattori autonomi lavoreranno nei campi mentre, in centro, sistemi informatici avanzati manterranno le infrastrutture vitali e saranno pronti a sostituire i tecnici e gli artigiani in pensione, se non ci saranno abbastanza giovani per colmare il vuoto.

Tutto questo è già in processo e non possiamo non tenerne conto nella programmazione quotidiana relativa al progetto delle nostre città ed attività dell’oggi e del domani.

Ecco che Pitagora ci ha aiuto ad intendere come siamo giunti alla quinta rivoluzione della Society 5.0 che partendo dalla “Legge del triangolo” si è passati alla “Legge del cerchio” per rimettere al centro l’uomo e il suo benessere, praticando così un processo di valorizzazione del Patrimonio Umano (Niglio, 2016). Intanto questi studi si sono sviluppati in Giappone, in quanto per primo si è trovato ad affrontare alcuni problemi difficili come l’invecchiamento della popolazione, la bassa natalità e la necessità di ripopolare le zone rurali precedentemente abbandonate durante la fase della rivoluzione industriale, garantendo in queste zone tutti i necessari servizi. Ovviamente alla base di questa rivoluzione ci sono importanti principi etici e culturali che devono essere conosciuti, incamerati e valorizzati al fine di rigenerare il nostro pensiero che vede nuovamente l’umanità al centro delle decisioni (Niglio, 2020)

Tutto questo risulta fondamentale in una fase storica dell’umanità in cui da vari eventi calamitosi (migrazioni, guerre, pandemie, etc..) sarà possibile ripartire con la giusta energia e buoni propositi. È quanto auspicava nella metà degli anni ’50 del XX secolo anche l’antropologa Margaret Maed (1901-1978) durante un’intervista realizzata da un allievo che le chiedeva informazioni su quale fosse stato il primo segno di civiltà e di cultura.

L’antropologa ricordò all’allievo che il primo segno di civiltà nella cultura antica era stato un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale se ti rompi una zampa muori perché diventi preda di altri animali e la sopravvivenza è praticamente impossibile. Ma se un femore rotto viene guarito allora questa è la prova che qualcuno si è preso cura di chi è caduto, portandolo in un luogo sicuro e quindi aiutandolo e rimettersi in piedi. Così la civiltà inizia proprio quando le persone aiutano coloro che sono in difficoltà al fine di poter riprendere il cammino della vita insieme (Maed, 1999).

Tutto questo nell’ambito della “Legge del cerchio” e della Society 5.0 è assolutamente reale e quindi realizzato, in quanto basato sui principi di quell’ “intellettualismo etico” tanto auspicato da Socrate ma che nella nuova rivoluzione sociale diventa il punto di partenza di una rigenerata civiltà.

 

Bibliografia

Capparelli V. (1988), La sapienza di Pitagora. La tradizione pitagorica, Vol.1, Roma: Edizioni mediterranee.

Maed M. (1999), Continuities in Cultural Evolution, London: Routledge.

Niglio O. (2016), Il Patrimonio Umano prima ancora del Patrimonio dell’Umanità, CITIES OF MEMORY, 1 (1), pp. 47-51 http://openarchive.icomos.org/2347/

Niglio, O. (2020), L’ospite inquietante: verso una risignificazione del Patrimonio Culturale. Esempi di architettura, 1 (1). pp. 1-9. http://openarchive.icomos.org/2358/

Severino E. (1987), La Filosofia Antica, Milano: Rizzoli.

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