Dalla politica spettacolo allo spettacolo politica

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Gli Stati Uniti sono nati grazie a discussioni sui mass media. I Federalist Papers sono la collezione di articoli di giornale scritti tra il 1787 e il 1788 da tre dei Padri fondatori, Alexander Hamilton, James Madison e John Jay, al fine di spiegare i contenuti della Costituzione di quel Paese, prima che questa fosse approvata. E si tratta del documento fondativo che è alla base di tutte le moderne democrazie sorte nel mondo da allora in poi. Il ruolo della comunicazione di massa è sempre stato esaltato oltre Oceano: è elemento fondamentale del processo democratico.

Ma nella campagna presidenziale conclusasi nel novembre 2016, è avvenuto qualcosa di inconsueto. Se all’origine degli USA i mass media sono stati importanti per coinvolgere la popolazione sull’importanza della sua costituzione, in questi ultimi decenni il loro ruolo non solo è risultato sempre più invasivo, ma anche ha virato sul piano del puro spettacolo, subendone pertanto tutte le distorsioni.

Almeno sin dagli anni Sessanta del XX secolo i programmi televisivi o i film sono studiati scientificamente in base all’audience che possono catturare. Da quando s’è generalizzato l’uso delle serie televisive, il controllo del rapporto tra queste e gli umori del pubblico è capillare: la serie prospera se fa audience, la narrativa viene ridiretta in funzione degli umori che suscita nel pubblico, le situazioni sono misurate in relazione a quel che aumenta la spettacolarità del prodotto. E se non fa audience, presto smuore, a prescindere dalla validità del suo contenuto e dei messaggi che veicola. Siamo nel regno della Doxa: l’opinione. E in particolare in questa accesissima campagna presidenziale il continuo sondaggismo ha portato a far sì che le affermazioni dei contendenti fossero misurate in funzione dell’audience, ovvero di quanta aspettativa di voto le affermazioni dei candidati avrebbero potuto catturare.

Per conseguenza questa campagna presidenziale ha segnato il compiersi di un cambiamento che da tempo stava preparandosi: dal periodo in cui la politica usava i mass media per trasmettere messaggi, a quello in cui la politica viene catturata dallo stile della trasmissione seriale televisiva che si impossessa del modo si agire dei politici stessi. Questi finiscono per assumere ruoli come se fossero attori che seguono un copione e una regia.

[caption id="attachment_7766" align="alignnone" width="631"]Il primo dibattito televisivo, tra RIchard Nixon e John. F. Kennedy, 26 settembre 1960. Confronto di proposte, rispetto reciproco tra i contendenti. Un'altra era. Quando la politica usava la televisione per trasmettere messaggi: il primo dibattito televisivo, tra Richard Nixon e John. F. Kennedy, 26 settembre 1960. Confronto di proposte, rispetto reciproco tra i contendenti. Un’altra era.[/caption]

Dalla politica spettacolo si passa allo spettacolo politica. In questa campagna presidenziale 2016 s’è visto giungere a piena completezza questo processo, che implica anche un allontanamento definitivo tra le proposte che si mettono in campo per risolvere problemi, funzione alla quale primariamente la politica dovrebbe essere vocata, e la tendenza a limitarsi a intrattenere il proprio pubblico sollecitandone quelli che appaiono come gli interessi immediati e le pulsioni più evidenti.

La stampa che ha avuto un ruolo fondante nella nascita degli Stati Uniti attuava il principio della trasmissione di messaggi volti a migliorare le conoscenze e a presentare ed elaborare idee.

Oggi i mass media hanno la funzione di fare audience prescindendo dalla qualità del messaggio trasmesso. Di qui che per la prima volta dagli anni ’60 del secolo scorso da una parte si sono inaspriti i toni razzisti, sono stati promessi muri ai confini del Paese e dall’altra s’è promosso a spada tratta l’aborto, il tutto condito con una retorica da bar, fondata sullo scherno per l’avversario se non sulle minacce. Nelle campagne presidenziali dei decenni passati sono aleggiate grandi proposte, fondate su una visione del ruolo americano come vettore di progresso nel mondo. In quest’ultima ha prevalso la lite fondata sulla logica dello scandalo.

Donald Trump, da stagionato conduttore televisivo qual è, s’è mostrato, meglio della Clinton, capace di riflettere gli umori della piazza e di catturarne la fantasia.

È stato il più grande reality show, in cui il primo temine è quasi scomparso a vantaggio del secondo, e la realtà è stata usata solo come un condimento per rimpinguare il secondo. Tra show biz e campagna elettorale sono cadute tutte le barriere. Ora che è finita, si tratta di vedere di che pasta è veramente fatto il prodotto che è stato venduto. (LS)]]>

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