I Diritti offesi svelati dal Covid19

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Aldo Ferrara (*)

Sin dalle prime battute ci siamo accorti che il SARS-Cov2 era Caino rispetto al primo Abele SARS del 2003. E ne stiamo riscrivendo la storia virologica e clinica che apprendiamo al letto del malato ogni giorno di più. In un popolo di Santi, Navigatori. Poeti e Virologi, finirà come diceva Francesco Ruffini, (illustre Giurista a cavallo tra il XIX e XX secolo, morì nel 1934) “I fatti, si sa, sono come gli scogli: riemergono immutabili e lucidi dopo ogni ondata di chiacchiere.

Un virus innocente, ma non troppo sapeva bene dove colpire, ha svelato le disuguaglianze della nostra Società. Diritto alla salute negato, città negate, anche la TV ti invita a non andare in Ospedale perché alla fine ti curi meglio in casa. Insomma il contribuente finisce per essere vilipeso nei suoi diritti, alcuni dei quali come l’art.32 della Costituzione appare inattuato e altri addirittura negati come l’artt.17 o 41, secondo alcuni costituzionalisti che vedono i Decreti del Presidente del Consiglio eccessivi malgrado l’emergenza sia fattuale. Per restare in tema sanitario, chi scrive lanciò nel 2013 prima1 e poi al 2016 un alert, colto da pochissimi addetti ai lavori, già nella premessa del Volume “Quinto Pilastro, il tramonto del SSN”, Ed. Bonfirraro, “richiamo cupo”, come lo definì nella sua prefazione il Prof. Silvio Garattini. 2

Già da allora, all’epoca della Costituente, il solco era chiaro: sanità, scuola, servizi pubblici costituivano nelle loro molteplici declinazioni momenti di cambio di passo. Nel disegno dei Padri Costituenti, doveva esserci il segno di una Costituzione Democratica in cui il crinale tra collettività statale e funzioni derogate, surrogate o demandate al privato, era netto, senza possibilità di fraintendimento. La cultura di quella Costituente era impregnata, tra l’altro, di valori socialisti da un lato e di solidarietà sociale cristiana dall’altro e quindi non poteva non emergere il ruolo primario della collettività come promotore dei servizi pubblici e del loro controllo. Fu lo schema, poi non sempre adeguatamente applicato, delle Partecipazioni Statali.”

Ma da quegli anni, correva il 1946, è cambiato tutto: la società è tumultuosamente cambiata. Le città sono diventate prima Metropoli, con il boom anni sessanta, e poi Aree metropolitane con un fenomeno dell’urbanizzazione sempre più consistente.

È il modello asiatico, da cui ci discostiamo quanto a numeri: la sola città di Wuhan, nella Regione di Hubei, consta di 11 milioni di abitanti, la Grande Area Romana conta circa 4,5 milioni.

Un modello centripeto dove aumentano a dismisura le esigenze e le domande di Servizi essenziali quali salute, trasporti, scuola e cultura. A fronte di guasti ineludibili, come la congestione e l’inquinamento che sono alla base della pandemia come fattori concausali di potenziamento.

Nella difficile, e ancora in fieri, analisi della pandemia, un ruolo lo gioca anche il contesto socio-economico e urbano che è tra i fattori della diffusione pandemica. È uno dei target del Volume “ Salute e Ambiente, diritti feriti”, edito dalla Società Editrice Universo di Roma, scritto a due mani da un Clinico (Aldo Ferrara) e una Costituzionalista (Lara Trucco) che si sono posti il problema di coniugare Costituzione, in parte inattuata, specie per Salute e Ambiente, e nuove esigenze socio-sanitarie, alla luce di un dissesto organizzativo, gestionale, in parte annunciato, che abbiamo visto nel default della Lombardia .

Non facile spiegare il picco dei contagi e delle drammatiche morti in Lombardia, dove disorganizzazione, incertezze strutturali derivano da un Sistema Sanitario Nazionale (SSN), tutto da rivedere 3, una macrostruttura amministrativa, politica, economico-finanziaria, che ha perso la sua connotazione originaria di offerta di salute universale.

Va anche valutata la realtà globale tanto da chiederci se solo in Italia assistiamo a detti guasti o se invece il problema dell’offerta carente dei servizi non sia più generalizzato di quanto possa apparire. Una Pandemia come quella del Covid va dunque analizzata in tutta la sua complessità che non è solo infettivologica, virologica o clinica. Questa drammatica esperienza ci ha insegnato quanto un piccolo nanoscopico virus possa essere capace di mettere in luce tutte le contraddizioni del nostro Sistema sanitario. Ha svelato una sorta di Caporetto della Sanità Italiana ma quel che appare altrettanto grave, proprio perché colpisce la maggiore Potenza Mondiale, gli USA, è che neanche nei lidi della massima eccellenza organizzativa e scientifica si siano potuti evitare 100 mila decessi in 50 giorni e un’infezione che ha colpito nello stesso lasso di tempo 1, 6 mln di cittadini americani.

La pandemia tra Pacifico e Atlantico4

Con circa 100 mila decessi e 1,6 mln di contagiati, gli USA pagano il più alto contributo. At present time, constatiamo una prima fase statunitense della diffusione virale in cui sono coinvolte le megalopoli quali NYC, Chicago, Miami e Detroit. New York conta 20 mila decessi nella sola città metropolitana e 28 mila in tutto lo Stato omologo, Fig. 1. Malgrado i confini dei due oceani, da sempre baluardo di protezione, oggi l’isolazionismo americano non paga più. La globalizzazione è alla base di questa diffusione le cui prove generali furono quelle del 2003 con la SARS, che allora si riuscì a mitigare.

Per gli USA una sorta di 11 settembre tanto da far stilare al NYT la liste dei centomila decessi. Ora non si sentono più sicuri perché la globalizzazione è stata un boomerang.

2001, settembre nero per gli USA, 2003 SARS, vista come rehersal di quanto poi avvenuto 17 anni dopo. Cosa è cambiato d’allora? Molto del contesto economico ha reso le città più fragili, indebolite dalla crisi del 2008 e volte a cercare mezzi di sussistenza nel terziario avanzato.

L’economia statunitense paga il pegno delle guerre del petrolio, della ricerca ansimante dello shale gas & shale oil e si concentra nelle attività di investimento delle grandi città. NYC, Detroit, S,Francisco, Chicago diventano cuori pulsanti di un’economia che malgrado il petrolio e forse proprio ai fossili, scivola sempre di più in una crisi di consumo e di mancata produzione alternativa.

Così in una NYC “ which never sleeps” il virus ha avuto gioco facile.

La diffusione del virus in queste condizioni di urbanizzazioni è facilitata dai contatti ravvicinati e dalla grande mobilità. Inoltre si è riprodotto negli USA il medesimo problema della “comunità a rischio”: la metà dei decessi ha coinvolto le case di riposo per anziani.5 Non a caso gli USA negli ultimi anni hanno anche decurtato il numero dei posti letti. Quindi, come per gli altri paesi, il contropiede è stato inevitabile.

Fig. 1 Rilevamenti dell’infezione Covid nelle principali aeree metropolitane statunitensi ( dal NYT su dati Johns Hopkins CSSE, al 22 maggio 2020).6

Vale dunque per ogni paese, per ogni territorio l’esigenza di far fronte al problema che porrà il Secolo XXI: il rapporto tra centro urbano e territorio. Un rapporto complesso perché coinvolge la necessità di servizi da erogare al cittadino che in massa fugge verso il centro urbano a causa della desertificazione a sua volta causata dal cambiamento climatico.

Forse per la prima volta il concetto di Pandemia trova la sua piena giustificazione non solo per l’estenzione geografica della malattia ma per aver consentito di individuare il vero target: i nuclei di sovrapopolazione che fino al 2019 abbiamo attributo alle megalopoli asiatiche. I continenti più duramente colpiti, sono appunto quelli occidentali: USA, Europa. Quasi che oltre la densità popolativa, altri fattori, quali stile di vita e di produttività economica fungano da fattori potenziamento della diffusione virale.

Ma se l’Italia piange e rimpiange i posti letto che ha incautamente soppresso, gli USA non sono da meno. Secondo il Global Health Security Index, su 195 paesi,7 se l’Italia è al 74 posto anche per i problemi con il sovraffollamento e le liste d’attesa, gli Stati Uniti occupano la 175° casella per accesso all’assistenza sanitaria.8

Dal 1975, a fronte di un incremento demografico statunitense da 216 milioni a 331 milioni, il numero totale di letti ospedalieri è diminuito da 1,5 mln a 925.000. Logica conseguenza della Legge sulla privatizzazione sanitaria, voluta dal presidente Nixon, nel 1973 in pieno Watergate. Infatti nessuno se ne accorse. Cosi si passò ad una stima di 2,8 letti d’ospedale per 1.000 residenti, poco più della metà della media di 5,4 posti letto per 1.000 residenti in altri paesi del G8.

Secondo l’American Hospital Association, i quasi 70.000 letti di unità di terapia intensiva non saranno sufficienti se, come prevedono, 2 milioni di persone contrarranno il COVID-19. Alla data del 31 marzo ci sono quasi 50.000 casi a New York, la città americana più colpita. A metà maggio il consuntivo si estende ad oltre 21 mila vittime nella sola NYC e 28 mila nello Stato NY.

Difficile far fronte a tale impatto epidemico se si pensa che l’8% degli ospedali americani è a rischio di chiusura ciò da indurre l’American Hospital Association ad una stima di chiusura, ogni anno, invocata per ben 30 ospedali cittadini e 120 territoriali dove vive il 20 percento della popolazione degli Stati Uniti.

Anche le chiusure ospedaliere nelle città statunitensi fungono da cortina razziale. Ne è un esempio la chiusura dell’Hahnemann Hospital di Filadelfia, che serviva le comunità di colore da ben 178 anni ed è ora in fase di riqualificazione privata. Lo stesso dicasi per il Providence Hospital di Washington, DC, St. Vincent’s Hospital nella zona del Greenwich Village di New York City e St. Vincent Medical Center nel quartiere di Westlake a Los Angeles. Tutti ospedali, già al servizio delle comunità emarginate, che saranno adibiti ad attività cliniche più redditizie come l’ortopedia e le malattie cardiovascolari, ( Flowers M., Truthout, 2020).

Il Covid non ha messo in ginocchio solo i Sistemi sanitari improvvidi di mezzo mondo, ha scoperchiato la triste verità dei Sistemi di assistenza, in parte improvvisati, in parte privatizzati, in buona sostanza di un welfare a metà, inceppato in un mondo in cui l’aspettativa di vita è aumentata. Come in Italia, con un’attesa di vita che supera gli 83 anni, livelli impensabili pochi anni addietro, ma che ha invece reso fragilissimi i nostri anziani colpiti da questa falcidia anagrafica.

Che si debba ripensare ad un Welfare più stringente e a uno stile di vita diverso dall’Oil Lifestyle è la lezione che dobbiamo subito imparare.

Poiché spesso la realtà supera la fantasia, è difficile preconizzare il futuro delle nostre città.

  1. Mobilità e flessibilità saranno condizionate dal contrasto al virus, Come si evince da una recente Ricerca Ipsos, condotta proprio in Cina, la mobilità che prima era affidata al TPL per il 56% scende ad un clamoroso 24 % con aumento del traffico privato che ascende al 66%. Dunque più inquinamento e maggiori fattori di propagazione del virus.

  2. L’inevitabile crisi economica aumenterà il solco tra ceti e distinguerà chi potrà permettersi le cure e chi dovrà rassegnarsi di fronte all’insorgere di una patologia.

*Aldo Ferrara, professore f.r. di Malattie Respiratorie nelle Università di Milano e Siena. Componente CTS Agenzia Controllo e Qualità SSPPLL Roma Capitale

NOTE

1 Ferrara A., Luigi Rosafio, Rione Sanità, Aracne Ed, 2013

2 Ferrara A. Quinto Pilastro il tramonto del SSN, Bonfirraro, 2016, dalla Premessa

3 SSN, declinato dai media come Servizio Nazionale Sanitario, è in realtà un Sistema e come tale lo chiameremo.

4 Tratto in parte dal Capitolo Primo del Volume “ Salute e Ambiente, diritti feriti” di Lara Trucco e Aldo Ferrara , SEU-Roma Editrice, in press, 2020

5 NYT In America’s nursing homes, outbreaks surge. 10 maggio 2020

6 N. Kommenda, P. Gutierrez, J. Adolphe Coronavirus map of the US: latest cases state by state, The Guardian, Wed 29 Apr 2020 08.42 BST

7 https://www.ghsindex.org/#l-section–map

8 Margaret Flowers, The US’s Wave of Hospital Closures Left Us Ill-Equipped for COVID-19, Truthout, 31, marzo, 2020

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