FRONTIERE

Il futuro dell’Europa è puntare al riarmo e a un’economia di guerra?

Secondo un recente rapporto la Francia è diventato il secondo esportatore di armamenti al mondo, alle spalle degli USA e superando la Russia. La maggior parte dei Paesi europei ha accresciuto le spese militari e le importazioni di armi nel quinquennio 2019-2023 sono cresciute del 94 per cento rispetto ai cinque anni precedenti. La dipendenza europea dagli USA per gli armamenti è passata dal 35 al 55 per cento. Le elezioni per il parlamento europeo si terranno tra il 6 e il 9 giugno 2024 e la fondamentale questione di una difesa europea comune è totalmente assente dal dibattito politico. L’Europa è sempre più frammentata e l’ipotesi di un ritorno di Trump alla Casa Bianca non è certo tranquillizzante.

L’11 marzo 2024 il SIPRI, l’Istituto Internazionale per le Ricerche sulla Pace con sede a Stoccolma, ha pubblicato il suo ultimo rapporto sul commercio mondiale delle armi e il quadro che ne emerge è estremamente preoccupante, in modo particolare per l’Europa. Mentre il commercio mondiale di armi ha subìto un piccolo decremento (- 3,3 per cento), il nostro continente ha quasi raddoppiato le importazioni di armamenti e, cosa sorprendente, ha notevolmente aumentato la sua dipendenza dal complesso militare-industriale statunitense. Alla luce delle dichiarazioni del candidato Donald Trump, che durante un comizio elettorale a febbraio ha affermato che avrebbe incoraggiato la Russia a “fare tutti i disastri che avesse voluto” contro quei Pesi che non avessero rispettato gli impegni sugli investimenti in armamenti, la tensione è andata alle stelle. La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, si è affrettata a dichiarare che l’Europa si trovava di fronte un mondo “sempre più ostile”, aggiungendo che nella UE “dovremo spendere di più, spendere meglio e spendere europeo”. Per ora sono soltanto chiacchiere e, purtroppo, lo rimarranno ancora per molti anni. Basta dare un’occhiata ai dati per capirlo.

Francia, maggiore produttore europeo

Questa nuova situazione strategica è stata definita dalla scelta di Putin di invadere l’Ucraina il 24 febbraio 2022, dalla resistenza militare guidata dal presidente Zelensky e dall’invio di armamenti da parte di almeno 30 Paesi. Così Kyiv si è trasformato nel principale importatore di armi in Europa e il quarto nel mondo. Negli ultimi dieci anni la Francia ha incrementato le sue esportazioni di armamenti del 47 per cento, fino a diventare il secondo esportatore del mondo. Il 42 per cento degli armamenti francesi va in Asia e Oceania, mentre il 34 per cento arriva in Medio Oriente. Il Paese che ha importato più armamenti francesi è stato l’India che, da sola, ha assorbito il 30 per cento dell’export di Parigi. La grande crescita percentuale e dovuta principalmente alla consegna di caccia da combattimento all’India, al Qatar e all’Egitto.

Secondo Katarina Djokic, una delle curatrici del rapporto, “la Francia sta usando l’opportunità della forte domanda mondiale per fare crescere la sua industria degli armamenti potenziando l’export e questa strategia ha avuto ottimi risultati con la vendita di velivoli da combattimento al di fuori dell’Europa”. Ma i caccia francesi non hanno ottenuto lo stesso successo in Europa che vale soltanto il 9,1 per cento delle esportazioni di Parigi. A questo dobbiamo poi aggiungere che più delle metà delle esportazioni francesi in Europa è andato alla Grecia, con il trasferimento di 17 caccia da combattimento Rafale. Le vendite francesi in Europa risentono della fortissima concorrenza americana. Ben 8 stati su 10 che, nel periodo 2019-2023, avevano in programma di ordinare caccia da combattimento, si sono poi orientati sugli F-16 o F-35 statunitensi, mentre solo la Grecia e la Croazia hanno optato per i Rafale.

Le percentuali dei primi 10 produttori mondiali di armi (Fonte SIPRI Arms Transfer Database, marzo 2024).

Visto che le cose stanno così a livello industriale, con ogni Paese UE che ha una propria strategia per i caccia, i carri armati, i droni, i missili balistici, i sommergibili, le navi militari, tutti i discorsi sulla “difesa comune” sono semplicemente aria fritta, in un contesto in cui la guerra si combatte ai nostri confini e l’ulteriore mandato a Putin, dopo le elezioni farsa del 15, 16 e 17 marzo, ne ha indubbiamente rafforzato l’aggressività. È vero che Parigi ha visto un grande aumento delle proprie esportazioni, ma il secondo posto mondiale è dovuto al fatto che, a causa della guerra in Ucraina, la Russia ha drasticamente ridotto il proprio export di armamenti per far fronte alle necessità belliche, tanto da essere costretta a ricorrere alle importazioni di droni dall’Iran e di proiettili dalla Corea del Nord. Tra il 2014-2018 e il 2019-2023, le esportazioni russe sono diminuite del 53 per cento e, in alcune aree, hanno risentito della concorrenza francese.

Negli ultimi cinque anni, l’Asia e l’Oceania hanno ricevuto il 68 per cento dell’export russo di armamenti che si concentrava soprattutto su tre Paesi: India (34 per cento), Cina (21 per cento) ed Egitto (7,1 per cento). Ma nel periodo 2019-2023 le esportazioni sono crollate del 34 per cento verso l’india, del 39 per cento verso la Cina e del 54 per cento verso l’Egitto. Lo stesso fenomeno è avvenuto per il terzo e il quarto maggiore acquirente di armamenti russi, l’Algeria (che ha diminuito le proprie importazioni dell’83 per cento) e il Viet Nam (sceso addirittura del 91 per cento). Il 14 luglio del 2023 il premier indiano Narendra Modi è stato l’ospite d’onore alle celebrazioni della Bastiglia e da quegli incontri è scaturito un contratto per la vendita di 26 Rafale per il combattimento marittimo e 3 sottomarini della classe Scorpène. Con questi acquisti, New Delhi è diventato il primo acquirente di armamenti al mondo, superando l’Arabia Saudita.

Difesa comune europea?

Come abbiamo visto sopra, l’importazione europea di armamenti dagli USA è passata dal 35 per cento (periodo 2014-2018) al 55 per cento, mentre il nostro continente produce circa un terzo delle esportazioni mondiali di armi, mostrando quindi una forte capacità industriale-militare. Secondo il direttore del SIPRI Dan Smith “ci sono molti fattori che determinano le decisioni di importare armamenti dagli Stati Uniti, e questo include l’obiettivo di mantenere relazioni transatlantiche per le questioni più tecniche, militari e dei costi. Se, nei prossimi anni, le relazioni transatlantiche cambieranno anche le politiche europee sugli armamenti potrebbero cambiare”.

Il principale produttore di armi a livello mondiale rimane Washington che ha incrementato il suo export del 17 per cento, mentre la sua quota nelle esportazioni di armi a livello mondiale è passata da 34 per cento al 42 per cento. Il boom dei contratti per armamenti made in the USA è dovuto all’enorme aumento di richieste da parte di Paesi asiatici come il Giappone (+ 161 per cento), Corea del Sud (+ 35 per cento) e Australia (+9,2 per cento), ovviamente estremamente preoccupati dalla massiccia politica di riarmo della Cina. Il dato del crollo delle importazioni di armi russe da parte di Pechino non deve però trarre in inganno, poiché è stato generato dal notevole aumento della capacità di progettare e produrre armamenti sviluppata da Pechino negli ultimi anni. Inoltre, secondo fonti di agenzia, il bilancio militare cinese prevede un aumento annuale intorno al 7,2 per cento per il periodo 2024-2028.

Il cambiamento dei volumi dell’export delle armi nel periodo 2018-2023, rispetto al quinquennio precedente. L’Italia ha fatto un balzo dell’86 per cento. (Fonte SIPRI Arms Transfer Database, marzo 2024).

In questo contesto l’Europa si sta muovendo in ordine sparso e, soprattutto, senza nessun piano strategico mentre è evidente che l’invasione dell’Ucraina ha ridefinito radicalmente la situazione geopolitica e ha rimesso in discussione 70 anni di politica industriale ed estera europea. Per decenni la Germania si è detta orgogliosa di essere una “potenza civile” e ha puntato massicciamente sugli scambi commerciali con la Russia, convinta che questo avrebbe magicamente portato Mosca nel novero dei Paesi democratici. Purtroppo, le cose non sono andate così e il Putin che il 18 marzo 2024 annuncia trionfalmente sulla Piazza rossa di aver conquistato l’87,3 per cento dei voti nelle elezioni farsa è lo stesso che il 25 settembre del 2001 teneva un commosso discorso al Bundestag parlando “nella lingua di Goethe, Schiller e Kant”, dichiarando che la democrazia era più forte del totalitarismo e che “la Russia è un Paese europeo amichevole. Per il nostro Paese, che ha subìto un secolo di disastri bellici, l’obiettivo principale è una pace stabile nel continente”.

È ovvio che, pur con tutti i suoi gravissimi difetti, l’Unione Europea non può arrendersi di fronte ai carri armati di Putin, ma è altrettanto chiaro che una disordinata politica di riarmo generalizzato per far fronte alla “minaccia russa” non può essere l’unica risposta. Senza la collaborazione tecnologica dell’Europa, la Russia ha una struttura industriale con basi molto fragili e, sul medio-lungo periodo, rischia il tracollo economico. La vera sfida non deve essere quella di trasformare l’Ucraina in un bastione militare in difesa del resto dell’Europa ma in un Paese democratico e prospero, libero di far circolare le idee, di favorire la giustizia sociale, la scienza, la cultura e l’arte. Putin ha ordinato l’invasione non perché Kyiv fosse nazista ma perché temeva il ”contagio democratico”. Se il continente di Tommaso Moro ed Erasmo da Rotterdam vuole trasformarsi in una fortezza chiusa al mondo abiurerà agli ultimi cinquecento anni della sua storia. Questo è il vero tema al centro delle prossime elezioni europee, sarebbe il caso di discuterne.

(L’immagine di copertina, tratta dal rapporto del SIPRI, mostra militari USA che sparano un missile Himars durante un’esercitazione in Kuwait nel 2019. Fonte: US Army, foto del sergente Bill Boecker)

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