di Paolo Raimondi* Mario Lettieri** economista **già deputato e sottosegretario all’Economia Il sistema bancario dovrebbe essere l’ancella primaria dello sviluppo delle attività industriali e imprenditoriali dell’economia reale. Se così è, la riforma delle banche popolari parte purtroppo da una premessa sbagliata. Mira a soddisfare le esigenze della grande finanza invece di privilegiare le strutture del credito direttamente legate al territorio e alla sua crescita economica. Secondo la succitata riforma, fatta con decreto e senza alcun coinvolgimento dell’Assopopolari, le 10-11 banche popolari con attivi superiori a 8 miliardi di euro dovranno essere trasformate in società per azioni. In quanto organismi di tipo cooperativo, gli attuali organi di gestione sono eletti con il voto capitario. Ogni socio può avere soltanto un voto. Il cambiamento strutturale proposto dal governo viene motivato dal fatto che il voto capitario violerebbe il principio di democrazia penalizzando quei fondi che partecipano con ingenti capitali. Inoltre, si afferma che, aprendosi al mercato globale, esse potrebbero attrarre investimenti nazionali ed internazionali rendendole così più grandi e più competitive. A dir il vero, in questo modo le banche popolari diventeranno oggetto di scalate finanziarie e di attacchi speculativi che ne snatureranno la loro originaria funzione di sostengo allo sviluppo del territorio, delle pmi e delle famiglie. Molto probabilmente diventeranno pedine locali delle grandi banche too big to fail. E’ davvero sorprendente il fatto che in Italia ci si dia da fare per “offrire” le banche popolari in pasto agli squali della grande finanza. Nel mondo bancario americano invece si riconosce che le dimensioni enormi delle banche globali sono il vero problema della stabilità finanziaria e sono state la causa delle passate crisi sistemiche. Non si tratta soltanto di una decina di banche. Il nuovo approccio, secondo noi, prima o poi investirà l’intera struttura delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo (bcc). Le si ritiene evidentemente obsolete dal mondo della finanza globale. Noi pensiamo esattamente il contrario. Non solo per il nostro Paese ma per l’intera Europa. Sono proprio le banche territoriali a sostenere la crescita e a fornire ossigeno al sistema produttivo italiano rappresentato, come noto, per il 95% dalle Pmi. Negli ultimi anni la Bce ha messo a disposizione oltre 1.000 miliardi di euro con operazioni di rifinanziamento a lungo termine (ltro) a tassi di interesse vicini allo zero nella speranza che questi soldi andassero a finanziare la ripresa. Finora però le grandi banche hanno incassato ma non hanno aperto i rubinetti del credito alle pmi. Nel nostro Paese tra il 2011 e il 2013 le banche popolari hanno aumentato del 15,4% il credito offerto alle imprese e alle famiglie mentre le banche spa lo hanno diminuito del 4,9%. E’ pur vero che le popolari nel 2013 hanno erogato il 15% del credito mentre le grandi banche ne hanno erogato il 75%. Ma in Italia si ha una situazione del tutto particolare in quanto le banche di interesse nazionale sono state completamente privatizzate, perdendo così anche la loro storica funzione sociale e pubblica. Nel corso del 2014 le 70 banche popolari e le 381 bcc – che occupano 120.000 dipendenti – hanno insieme dato credito alle pmi per quasi 240 miliardi di euro con un aumento di ben 35 miliardi. Alle imprese esportatrici sono andati 50 miliardi. Nel periodo della crisi tra il 2008 e il 2014 i finanziamenti alle pmi esportatrici sono aumentati del 28%. Esse hanno quindi svolto efficacemente un ruolo anticiclico favorendo la ripresa economica dei territori in cui operano. Spesso si parla della tenuta esemplare del tessuto industriale tedesco, formato anch’esso dal mittelstand, la rete delle pmi in Germania, ignorando che la sua forza sta proprio nella rete capillare delle banche di credito cooperativo. Secondo uno studio della Bundesbank nel 2008 vi erano oltre 1200 istituti e 13.600 sportelli, regolati da principi mutualistici e di interesse sociale, con un bilancio aggregato di 1.000 miliardi di euro, al servizio di 30 milioni di clienti. La società tedesca e molti economisti si sono mobilitati in difesa della rete di banche territoriali anch’esse sotto attacco da parte delle grandi banche tedesche, tra cui la Deutsche Bank e la Kommerzbank, e di quelle internazionali. Un economista tedesco, Richard Werner, direttore del Centro Studi Bancari dell’Università inglese di Southampton, in prima fila nella difesa delle banche popolari e delle bcc in Germania e in Europa, ha scientificamente dimostrato che sono proprio queste banche, e non la Bce, le banche centrali e le grandi banche globali, il vero motore della creazione di credito produttivo e dell’ampliamento della base monetaria necessaria al sostegno della ripresa economica. Senza iattanza riteniamo che sarebbe opportuna una riconsiderazione della scelta governativa.]]>

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