Il XIII Convegno Liturgico Internazionale di Bose (4-6 giugno 2015). Un’esperienza che conduce alla meditazione sulla vita cristiana attraverso il misticismo del dialogo tra luci e ombre.   “Dopo i diversi incontri sin qui svolti, siamo arrivati alla luce”: mons. Stefano Russo, responsabile dell’Ufficio nazionale beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), nel chiudere il XIII Convegno Liturgico Internazionale svoltosi presso il Monastero di Bose sul tema “Architetture della Luce. Arte, Spazi, Liturgia” ha implicitamente sottolineato che questo del 2015 si pone come un punto di svolta nella successione di incontri che via via negli anni hanno affrontato i diversi aspetti del rapporto tra liturgia e luogo in cui questa si svolge. Il fascino della luce è infinito e allo stesso tempo ambiguo. Perché luce e i suoi corrispettivi – ombra, penombra, oscurità – e i suoi complementari – colori, bagliori, fulgori – sono dotati di per sé di una carica emotiva che accompagna la storia e la preistoria dell’essere umano sollecitando una serie di emozioni che introducono al misticismo, non necessariamente qualificato, e tuttavia nella nostra tradizione evidentemente associato al luogo della chiesa, con la sua propensione alla calma, alla ponderatezza, al silenzio, all’attesa. Al racconto del sublime che la luce esprime sono dedicate pagine intense e delicate delle Scritture e la luce giunge a essere sinonimo del divino. Come ha detto il priore di Bose, Enzo Bianchi, nell’aprire il convegno, giovedì 4 giugno 2015: “«Luce!» fu la prima parola di Dio, il primo suono creatore di evento: con essa «dissipò le tenebre, allontanò la tristezza, illuminò il cosmo, rivestì ogni cosa di un aspetto gradevole e giocondo ». In uno stupendo passaggio del suo Esamerone Basilio il Grande dipinge un ritratto incantato del cosmo chiamato all’esistenza da quella parola: «L’aria stessa brillava, o meglio tratteneva in sé tutta la luce, inviandone grandiose inondazioni per tutta la sua estensione… Dopo l’apparizione della luce, anche il cielo divenne più giocondo e le acque più limpide, non soltanto accogliendo la luce, ma anche riflettendola in ogni punto con innumerevoli scintillii… “Sia la luce!” (Gen 1,3), e il comando era subito attuato, così fu creato qualcosa di cui la mente umana non può immaginare nulla di più giocondo e di più bello…»”. L’immediatezza estetica del fenomeno luminoso che con facilità introduce al “numinoso” è stata evidenziata da diversi oratori. E il teologo Albert Gerhards, che con Goffredo Boselli, Philippe Markiewic, Jean-Pierre Sonnet e Angelo Lameri ha condotto la prima parte, eminentemente teologica, del convegno, ha spiegato che la qualificazione cristiana del fenomeno luminoso associata all’esperienza estetica che si vive nello spazio liturgico è data dalla sua associazione con la parola di Dio: sia questa manifestata nelle letture, o nell’espressione artistica. La seconda parte del convegno, dedicata al rapporto tra luce e architettura è stata presentata da Andrea Longhi e introdotta dal p. Andrea Dall’Asta con una trattazione storica dell’evoluzione del fenomeno luminoso nell’arte, dai fondi oro bizantini alla svolta nodale dell’indagine rinascimentale sul fenomeno fisico, alle trattazioni convergenti verso il realismo dei maestri ottocenteschi, fino al modo di intenderla e di interpretarla nell’architettura contemporanea, a volte carente di qualificazione. Perché non sempre le architetture sono studiate con l’attenzione dovuta, che potrebbe consentire di demarcare la gradualità del percorso di avvicinamento al cuore dello spazio liturgico individuando soglie significative. Per esempio nella chiesa Dives in Misericordia di Roma (progetto di Richard Meier) tale passaggio difficilmente è sentito, mancando una differenza sensibile di luminosità tra lo spazio previo e quello interiore. Paolo Tomatis ha ampliato il tema evidenziando l’aspetto relativo alla “conversione dello sguardo” che avviene attraverso la luce. Questa avvolge la persona e diviene segno ed espressione dello sguardo salvifico che il Creatore posa sulle creature e il Salvatore posa su coloro che sono chiamati alla salvazione. Di qui il senso forte dell’irrompere della luce nella veglia pasquale. Non vediamo la luce, ma vediamo nella luce, ha ricordato Sigurd Bergmann che ha parlato di come nei Paesi nordici la differente elevazione del sole sull’orizzonte regali esperienze differenti del rapporto tra essere umano e creato, e come questo si riversi nel progetto architettonico non solo delle chiese ma anche di altri luoghi, a partire dalla casa, in una dialettica che conduce dalla luce alla concezione stessa del tempo e al rapporto tra luce e tempo atmosferico e cronologico: un argomento particolarmente sentito da autori quali Sverre Fehn che, parlando del caminetto presente nelle abitazioni, evidenzia come “il fuoco produca lo spazio”. Esempi concreti del rapporto tra luce (solare ed elettrica) e architettura sono stati trattati da Donatella Forconi, Martin Struck e Joaquim Felix De Carvalho che ha presentato in dettaglio la cappella del seminario di Braga (Portogallo), definita da pannelli di legno sagomati e sommati su piani orizzontali tra loro distanziati così da ottenere un effetto di semitrasparenza. Gli ultimi interventi hanno riguardato il caso dell’artista domenicano Kim En Joong, presentato dal critico Denis Coutagne e le architetture di chiese, introdotte da Giovanni Gazzaneo, elaborate da Alvaro Siza (la chiesa di S. Maria a Marco de Canavezes in Portogallo, raccontata a don Nuno Higino, che fu parroco al momento della sua costruzione) e la chiesa ortodossa su Ground Zero a New York progettata da Santiago Calatrava, il quale, presente al convegno, ha compiuto una carrellata dei suoi molteplici progetti non realizzati per la Chiesa. Da segnalare il concerto per voce recitante e fiati offerto da Maddalena Crippa e Fabio Mina nella chiesa romanica di San Secondo, vicina al monastero di Bose, illuminata solo dalle candele: un’occasione per ripensare al tipo di luminosità per la quale sono state costruite le chiese storiche. “Abbiamo ascoltato tanti punti di vista differenti. Comprendiamo che la vera ricchezza sta nel dialogo” ha detto mons. Stefano Russo chiudendo il convegno. E tale dialogo richiede un impegno continuamente rinnovato.   Per informazioni e ulteriori dettagli: http://www.monasterodibose.it   (LS) [gallery link="file" ids="3803,3804,3805,3806,3807,3808,3809,3810"]]]>

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