FRONTIERE

L’attacco di Erdogan alla Francia rappresenta una minaccia per l’intera Europa

Nel mese di ottobre il fondamentalismo islamico ha scatenato una sanguinaria campagna terroristica contro la Francia, simbolo della libertà di pensiero e dello spirito critico. Il presidente Macron ha dichiarato esplicitamente che non si piegherà mai al fanatismo oscurantista, suscitando le ire del turco Erdogan che, assumendo l’atteggiamento della vittima, ha lanciato una campagna di boicottaggio contro le merci francesi. Ma con i suoi attacchi all’Occidente, nel tentativo di mettersi alla testa dell’islamismo sunnita, il Sultano rischia di trovarsi pericolosamente isolato all’interno della Nato.
La strategia neo-ottomana del presidente turco Erdogan, il tentativo di dominio politico-economico su quella che fu l’area controllata dalla Sublime Porta, sembra aver fatto un ulteriore salto qualitativo nell’assalto furibondo condotto contro la Francia e Macron personalmente. Il 16 ottobre 2020 il professore di storia Samuel Paty, reo di aver tenuto una lezione sulla libertà d’espressione in cui aveva mostrato le vignette sul profeta Maometto, pubblicate nel 2015 dal giornale satirico Charlie Hebdo, viene ferocemente decapitato da un diciottenne di origine cecena a Conflans Saint-Honorine, a nord della capitale francese.

Dopo le stragi del terrorismo islamista, il presidente Macron ha difeso con forza il diritto alla libertà d’espressione alla quale la Francia e l’Europa non intendono rinunciare.

La Francia reagisce con indignazione e il 21 ottobre, durante la solenne cerimonia per ricordare il professor Paty, il presidente Macron afferma: “Non rinunceremo alle vignette, anche se altri indietreggiano, perché in Francia i Lumi non si spengono“. Ma, insieme all’atteggiamento di fermezza, il presidente francese si è anche mosso per mettere sotto controllo il “separatismo islamico”, la tendenza cioè a far predicare nelle moschee francesi iman estremisti provenienti dall’estero (molti dalla Turchia) associata alla volontà di applicare la legge islamica all’interno delle comunità che vivono in Francia. Questo ha scatenato le ire del presidente turco che, addirittura, ha messo in dubbio la salute mentale di Macron e ha invitato i turchi e tutti i musulmani al boicottaggio dei prodotti francesi. Non contento di un linguaggio che non viene mai usato tra Paesi alleati, Erdogan è arrivato a immaginare che “in Europa contro i musulmani si sta compiendo una campagna di linciaggio simile a quella contro gli ebrei prima della Seconda Guerra Mondiale“.

Le ragioni dello scontro tra Francia e Turchia

La gravità delle parole del sultano turco non va assolutamente sottovalutata, sia in senso oggettivo, ma anche tenendo conto del fatto che la pandemia di Covid-19 sta colpendo in modo durissimo i nostri cugini d’oltralpe che si trovano in un momento di grande difficoltà. Le ragioni dello scontro non sono però di tipo religioso, quanto politico, visto che i due Paesi sono schierati da tempo su due campi opposti in Libia, nel Mediterraneo orientale (dove si è quasi arrivati allo scontro tra unità navali), nel Nagorno-Karabakh (dove la Turchia ha fatto arrivare droni da attacco e unità di islamisti siriani per combattere a fianco degli azeri). Va anche tenuto in considerazione che la Francia, la Russia e gli Stati Uniti ospitano una numerosissima e influente comunità armena, molto attiva a livello politico e culturale, che tende a solidarizzare con le rivendicazioni armene sul Nagorno-Karabah. Questi stessi tre Paesi sono anche co-presidenti del Gruppo di Minsk che, da tempo ma con scarsi risultati, sta cercando di arrivare ad una soluzione diplomatica dello scontro tra armeni e azeri.
La durezza delle posizioni di Erdogan e il suo attivismo frenetico su un vasto scacchiere servono anche a coprire l’attuale debolezza dell’economia turca, che rischia di essere coinvolta in una nuova crisi valutaria e ha visto azzerarsi le ingenti entrate del turismo a causa della pandemia. C’è però un altro aspetto delle dichiarazioni del presidente turco che può rivelarsi un vero e proprio boomerang. Oltre aver innescato una campagna di boicottaggio economico, raccolta da vari Paesi islamici, il tono di scontro usato dal sultano di Istanbul lo ha anche messo in una situazione delicatissima quando, la mattina del 28 ottobre 2020, un giovane tunisino è entrato nella cattedrale di Notre Dame di Nizza e ha ucciso in modo feroce due donne e un uomo, prima di essere colpito a sua volta dalla polizia.
Di fronte a tali barbarie, è diventato subito evidente che iniziative politiche che alimentano in modo strumentale ostilità e risentimenti, come appunto fanno la Turchia e il suo alleato Qatar, rischino anche di danneggiare la convivenza civile all’interno delle nostre società multietniche e multireligiose e favoriscano oggettivamente la propaganda e il proselitismo dei terroristi jihadisti. L’ambiguità della posizione di Erdogan, che strizza l’occhio all’estremismo, è stata ulteriormente evidenziata il 2 novembre a Vienna quando un simpatizzante dell’Isis, nato in Austria ma di origini macedoni, ha ucciso quattro persone e ne ha ferite ventidue, di cui sei in pericolo di vita.

Ma la Tuchia è un nemico o un alleato?

Per decenni Istanbul è stata una pedina fondamentale della NATO, solido alleato dell’Occidente e baluardo orientale contro la minaccia rappresentata dall’impero sovietico. Sono iniziati complessi negoziati in vista di un possibile ingresso futuro nell’Unione Europea, poi Erdogan e il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), soprattutto dopo il tentativo di golpe del luglio 2016, hanno subìto un’involuzione islamista che ha portato a una progressiva riduzione delle libertà democratiche e all’imbavagliamento della stampa, con decine di giornalisti arrestati con motivazioni pretestuose. Un rapporto sulla Turchia dell’autorevole Brookings Institution, reso pubblico nel febbraio del 2018, affermava che “il presidente del Paese sta diventando sempre più autoritario, usa una violenta retorica anti-occidentale e fa delle scelte di politica estera contrarie agli interessi dell’Alleanza Atlantica”.
In effetti, il bastione orientale della NATO ha da tempo iniziato un avvicinamento alla Russia di Putin e, nonostante gli interessi contrastanti in Siria, Libia, Crimea, Cipro, Egitto, Israele, questione curda e Fratellanza musulmana, i due autocrati hanno trovato un modus vivendi che sembra contentare entrambi. Il punto di svolta nelle relazioni tra Mosca e Istanbul c’è però stato quando Erdogan ha acquistato dai russi il sofisticato sistema di difesa antimissilistica S-400, un affare da 2,5 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti e la Nato hanno ammonito la Turchia a non rendere operativa una scelta che, oggettivamente, indebolisce l’Alleanza atlantica

L’S-400 è un moderno sistema di difesa anti aereo e anti missile messo a punto dalla Russia. La sua adozione, da parte di un Paese NATO, crea una grave contraddizione nell’Alleanza Atlantica. Nella foto, il sistema all’interno della base russa di Kaliningrad.

Infischiandosene bellamente dei moniti, il 16 ottobre 2020 l’esercito turco ha svolto un test del sistema S-400 lanciando un missile contro un obiettivo in volo nella provincia settentrionale di Sinop, vicino al Mar Nero. Un funzionario del ministero della Difesa americano ha dichiarato: “La nostra posizione è chiara: un sistema operativo S-400 non è coerente con gli impegni della Turchia come alleato degli Stati Uniti e della NATO. Siamo contrari all’acquisto del sistema e nutriamo profonde preoccupazioni per le notizie secondo le quali la Turchia lo sta rendendo operativo”. Nonostante tutte le pressioni, il sultano continua imperterrito la sua politica neo-ottomana che finora, anche grazie all’acquiescenza dell’amministrazione Trump, non ha incontrato ostacoli sostanziali.

Chi paga l’espansionismo di Istanbul?

Come abbiamo già detto, la situazione economica turca impedisce di investire nella grandeur ottomana di Erdogan, per cui il sultano si è dovuto rivolgere a Tamim bin Hamad al-Thani, attuale emiro del Qatar, anch’egli fervente sostenitore della Fratellanza musulmana e dotato di grandi disponibilità finanziarie che gli hanno consentito l’acquisto della prestigiosa squadra di calcio del Paris-St Germain. Il Qatar è stato praticamente gettato nelle braccia della Turchia nell’estate del 2017, quando Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein decisero un embargo commerciale e un blocco economico del Paese, che è quindi stato costretto a trovarsi un “protettore”.
Da quel momento in poi, le relazioni turco-qatariote sono cresciute sempre

Il 2 luglio 2020 Erdogan ha fatto una visita ufficiale di un solo giorno in Qatar per discutere di Libia e Siria ma, soprattutto, per chiedere finanziamenti all’emiro.

di più, tanto che alla fine del 2018 gli scambi commerciali sono aumentati del 57% rispetto all’anno precedente, arrivando a 1,4 miliardi di dollari. Attualmente, sono più di 180 le imprese turche che operano in Qatar. Il 2 luglio 2020 il presidente Erdogan ha fatto una visita ufficiale a Doha per discutere con il suo omologo in primo luogo della situazione libica e, in secondo luogo, degli sviluppi in Iraq e Siria. Il giorno successivo, il ministro delle Finanze qatariota Mohamed bin Abdulrahman Al Thani ha elogiato le “relazioni strategiche” con la Turchia e ha dichiarato che i legami tra “i nostri due Paesi crescono ogni giorno di più, particolarmente nel campo degli investimenti economici, dell’energia e della cooperazione nella difesa per servire i comuni interessi delle nostre nazioni”. Al di là delle frasi di circostanza, è apparso chiaro che lo scopo della visita era quello di batter cassa per finanziare le operazioni belliche in Libia e Siria e i controversi progetti per lo sfruttamento del gas nel Mediterraneo orientale.
Fino ad oggi, il Qatar ha regolarmente pompato cifre ragguardevoli nell’economia turca, sotto forma di depositi e investimenti, arrivati nel 2018 a 15 miliardi di dollari, secondo stime ufficiali di Doha, a cui si devono aggiungere i contributi di finanziatori privati. Ma la gallina dalle uova d’oro comincia ad avere qualche problema visto che, nel 2019, il debito pubblico del Qatar è cresciuto del 25,3%. Ad aprile 2020 il Qatar si è finanziato sul mercato internazionale vendendo obbligazioni a 5, 10 e 30 anni, per un corrispettivo di 10 miliardi di dollari e, a causa della discesa dei prezzi di gas e petrolio, è possibile che sia costretto a tirare i cordoni della borsa. Con un Qatar in crisi finanziaria e con l’amico Trump fuori della Casa Bianca quali saranno le carte che Erdogan potrà giocare?
di Galliano Maria Speri

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