di Davide Arecco*
Armonia e geometria della natura
Quando Cosimo III de’ Medici – solo un anno prima di diventare il Granduca di Toscana, alla morte di Ferdinando II – giunse in Inghilterra, nel 1669, approfittò del suo viaggio, vero culmine di un Grand Tour memorabile ed altamente formativo, anche per procurarsi libri di storia naturale e di botanica, rafforzando a Londra la propria passione per l’orticoltura e i giardini inglesi. Questi ultimi – destinati ad affermarsi, in via definitiva, in Gran Bretagna, nel corso del Settecento – ambivano a rappresentare e a simulare la natura, accentuando la spontaneità del paesaggio. Un gusto culturale il quale traeva la sua origine nell’Inghilterra del XVII secolo, specie nel fertile humus intellettuale del primo Seicento, quando medicina e astrologia, farmacopea ed erbari, scienza e alchimia, ermetismo rinascimentale e nuova fisica, antichi rimedi empirici e arte iatrica convivevano ancora strettamente, sul confine mobile di un sapere e di una società in trasformazione. Particolarmente ricco – anche di tensioni politiche e religiose – fu, da questo punto di vista, il primo Seicento inglese, che contiene in nuce moltissimi degli sviluppi futuri. In quell’epoca visse Nicholas Culpeper (1616-1654), medico e botanico, naturalista ed astrologo, di cui non si parla quasi mai, nei testi e nei repertori dedicati alla storia della scienza anglo-europea. Eppure, la sua fu una figura di non secondo piano nella rete della Repubblica letteraria di epoca barocca: un protagonista scomparso troppo presto – dal suo mondo e dai radar della storiografia – ed anche per ciò da riscoprire adeguatamente.
Figlio di un ecclesiastico anglicano, Culpeper si formò presso l’Università di Cambridge ed in seguito diventò apprendista in una farmacia. Ne aprì quindi una tutta sua nella casa a metà strada fra Spitalfields e Londra, pertanto al di fuori dell’autorità della City londinese, in un momento storico, cruciale e foriero di notevoli conseguenze, nel quale la pratica medica rivendicava per sé, a Londra e in altre aree del Regno Stuart, una nuova e più piena libertà scientifica. Battaglie, condotte tramite libri a stampa e iniziative concrete, che avrebbero poi convinto il Royal College of Physicians – che rilasciava allora in Inghilterra le patenti per l’esercizio della professione e che, secondo Gillispie, fu l’istituzione accademica che più di tutte prefigurò la successiva Royal Society – a rivedere i propri quadri scientifici, accogliendo nuove tecniche terapeutiche di ascendenza popolare e indirizzi iatro-chimici ancora caratterizzati dalla tradizione alchemica coeva e precedente. Fu William Harvey – il presidente del Royal College of Physicians, a metà Seicento – ad accettare e favorire tale trapasso: un vero e proprio trasferimento accademico-scientifico di conoscenze pratico-empiriche provenienti dal basso, riprese e riqualificate, rilette e portate avanti – innescando con ciò crescita e maturazione della stessa scienza inglese, più in generale – tra le mura d’uno spazio altrimenti conservatore.
Gli orientamenti valoriali di Culpeper sposavano i principi umanistici e gli ideali della caritas baconiana (C. Webster, La grande instaurazione, Milano, Feltrinelli, 1980) con una filantropia pre-illuministica e con il proposito, condiviso dai riformatori puritani, dell’uso sociale delle scienze, in particolare mediche, botaniche, agricole, mineralogiche e metallurgiche.
Il medico doveva essere, a parere di Culpeper, un professionista abile e preparato, serio e affidabile. Quella dello stesso medico era ai suoi occhi una vera missione cristiana, al servizio degli altri. Culpeper, che si riforniva di erbe nelle campagne intorno a Londra, curava i malati gratuitamente. Li visitava di persona e con sommo scrupolo. Attivissimo e instancabile, Culpeper non si negava mai ed assisteva giornalmente – a casa loro – un numero altissimo di ammalati. Unendo esperienze iatriche, preparazione scientifica, cure sul campo e letture astrologiche, egli impiegava numerosissime erbe medicinali, per affrontare e per curare le malattie dei propri pazienti.
Molti dei medicamenti di cui faceva uso erano di fatto pozioni e composti alchemici, ed anche per tale motivo – durante i primi due anni della Guerra civile, tra il 1638 e il 1640 – venne accusato di stregoneria dalla Società degli Speziali londinese, che cercava di tenere a freno le sue pratiche, indubbiamente ‘di rottura’ verso la tradizione galenica insegnata nelle Università ed alternativa ad esse.
Una ribellione, medico-scientifica, che si fece, di lì a breve, anche politico-sociale: nell’agosto 1643, Culpeper prese parte alla prima Battaglia di Newbury, ove svolse pure funzioni di chirurgo militare (un ruolo inaugurato in Francia un secolo prima da Paré). Ritornò, quindi, nella capitale inglese e qui cominciò a collaborare con l’astrologo monarchico William Lilly (i due scrissero a quattro mani la sinistra e veritiera Prophecy of the White King). Anni di tumulti e lotte, di conflitti e scontri, tanto militari quanto intellettuali. Anni dai quali, si sa, sarebbe sorta, sia pur per un breve periodo, una nuova Inghilterra.
Nel breve volgere d’un solo triennio, senza mai smettere di esercitare la professione, Culpeper pubblicò diversi trattati e libelli: la Physical Directory, or a Translation of the London Directory (1649, una traduzione che popolarizzava la Pharmacopoeia Londonesis del College of Physicians e la stessa arte iatrica), il Directory for Midwives (1651), la Semeiotics Uranica, Or An Astrological Judgement of Diseases (1651), il Catastrophe Magnatum or the Fall of Monarchy (1652), l’English Physitian (1652, ristampato a Londra dal Barker ancora nel 1800) e, soprattutto, il Complete Herbal (1653, riedito ancora nel 1835). Questi ultimi due libri raccoglievano e divulgavano ampie notizie e informazioni di erboristeria e farmaceutica, botanica e alchimia, orticoltura e storia naturale, presso più vaste fasce di pubblico, rispetto ai soli studiosi di ambito universitario. Un paradigma – quello legato alla diffusione del sapere, segnatamente, di quello nuovo ed utile – da lui come da riformatori e puritani molto sentito ed avvertito in tutta la sua urgenza sociale. Aggiornare e svecchiare quadri e strutture del sapere fu per uomini come Culpeper un imperativo primario, etico, oltre che scientifico e culturale.
Instauratosi il Protettorato di Cromwell, Culpeper fece dare alle stampe un’altra opera di ragguardevole valore, l’ambizioso Astrological Judgement of Diseases, from the Decumbiture of the Sick (1655), tra i più dettagliati documenti dell’astrologia medica nell’Europa del tempo. Culpeper, intanto, proseguiva in Inghilterra nella sua indefessa opera di raccolta e catalogazione all’aria aperta di centinaia di esemplari di erbe medicinali. Spesso critico verso le rigide impostazioni di numerosi suoi colleghi contemporanei, Culpeper viveva ed applicava sul campo i dettami baconiani, unendo e ragione e esperienza in viaggi tesi a visitare i regni di Madre Natura, studiandone, con diligenza ed onestà intellettuale, ogni tesoro. Più di tutto, lo affascinava la flora: adorava le piante, soprattutto le orchidee. Gli erbari di Culpeper erano libri fatti di semi, magnificamente illustrati – un altro dei suoi punti di forza era l’estrema cura per l’apparato iconografico, l’ulteriore segno della sua modernità e capacità di aggiornamento – con rimedi naturali sovente ricavati anche da fonti antiche. A Culpeper, di fatto, dobbiamo erbari astrologici per portano l’eredità del Medioevo nella prima età moderna, ed ottime traduzioni di opere mediche latine, che ebbero ampia circolazione, a Londra, prima e dopo la metà del XVII secolo: attestazione di una saggezza antica e nuova insieme.
Culpeper morì neanche quarantenne, dopo una serie di tristi sventure familiari. Postumo uscì, nel 1656, il suo Treatise on Aurum Potabile, l’omaggio a quella trattatistica alchemica che una così grande parte aveva avuto nella scienza – una scienza ancora ‘mista’, e specchio dei tempi – da lui praticata, sia a Londra, sia nelle campagne di provincia. Il suo sapere non morì con lui, importato in America dai transfughi puritani, i quali ne recarono i testi a Boston favorendovi pure nuove edizioni a stampa, nei territori delle colonie inglesi di Oltre mare. Altri libri di Culpeper – la parte maggiore – continuarono ad influenzare la cultura scientifico-naturalistica della sua Inghilterra, e alcune copie di quella raccolta finirono a fine Settecento nella collezione privata di William Wordsworth. Questi, fra i grandi poeti del Romanticismo britannico, fu, certo, colui che più si avvicinò, in termini lirici, a quell’immagine della natura che Culpeper aveva saputo amorosamente coltivare, innestandola entro i quadri politico-religiosi e socio-istituzionali del primo Seicento inglese. Un patrimonio di saperi, pratiche e tradizioni al quale lo storico, della scienza e non solo, dovrebbe opportunamente tornare a guardare. Ne verrebbe una ulteriore e migliore conoscenza di quel secolo XVII molti lati del quale, tutt’oggi, ci sono ancora sconosciuti: gemme da riscoprire di un secolo inesauribile, per contenuti e ricchezza, personaggi e suggestioni.
*Davide Arecco è Ricercatore presso il Dipartimento di antichità, filosofia e storia – DAFIST – Univerisità di Genova
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