Con il suo atteggiamento erratico il presidente statunitense ha sollevato molti dubbi sulle sue scelte. I sostenitori parlano di una sottile strategia di dissimulazione che mette gli avversari in grave difficoltà, mentre chi lo disapprova si chiede quale sia la sua vera condizione mentale. Ne abbiamo parlato col dott. Maurizio Albertini, psichiatra, già direttore del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura e del Centro di Salute Mentale di Imperia.
Trump è l’uomo più osservato e analizzato al mondo, sia nella sua vita pubblica che in quella privata. Quale sembra essere la sua personalità?

Da un punto di vista strettamente psichiatrico, Trump ha un importante disturbo narcisistico. È un narcisista vero, uno a cui non puoi fare osservazioni senza scatenare reazioni furibonde. Difende con forza l’immagine che si è creata e che non può essere sporcata da considerazioni esterne. Il presidente è al limite della personalità sociopatica; è un personaggio che è interessato a piacere, a essere considerato il migliore. Il suo atteggiamento e le sue azioni evidenziano una superdifesa del proprio io che lo porta a non ammettere mai di aver torto, una debolezza inconcepibile in una personalità come la sua. Le sue caratteristiche sono l’arroganza, un’alta considerazione di sé, la grandiosità, il bisogno di essere ammirato. Non dobbiamo quindi stupirci che mostri una scarsa capacità empatica ed evidenzi una profonda paura delle proprie debolezze. Nel suo mondo la parola debolezza è un vero e proprio tabù.
I suoi dati biografici mostrano una giovinezza sotto il tallone di un padre molto autoritario e esigente e un giovane Donald che viene bullizzato e teme di non essere all’altezza del compito che gli viene richiesto. Quanto dell’adolescente insicuro e trascurato è sopravvissuto nel presidente di oggi?
Quel giovane intimidito è sopravvissuto nel suo inconscio, tanto che il presidente non può far emergere la sua parte debole, i ricordi di un periodo doloroso e deve continuamente mentire a sé stesso per preservare una personalità teatrale di macho senza timori. Questo atteggiamento non fa altro che evidenziare la sua paura di castrazione da parte del padre. Da giovane era bullizzato perché si sentiva debole nel profondo e quindi all’esterno si presenta come un uomo troppo forte, ma nel suo intimo c’è ancora un marcato senso di debolezza e di ricerca di sicurezza in una figura paterna. Ricordiamo che l’arroganza e la violenza sono segno di debolezza, non di forza. Trump ha costantemente bisogno di un testimone che lo approvi, che gli dica «guarda quanto sei forte». Nella sua giovinezza gli è mancata l’approvazione paterna che lui continua ancora a cercare.
È mancato il sostegno di cui il bambino aveva bisogno quando si sentiva fragile e insicuro. Nel momento in cui si rivolgeva agli altri per ottenere aiuto contro quello che percepiva come un mondo ostile, gli veniva risposto che non doveva sentirsi debole, che questa sensazione era vietata. Non è certo casuale che Trump proietti questa insicurezza all’esterno, tanto da considerare come nemico qualunque figura che gli appaia debole e risvegli in lui i vecchi fantasmi. Per questa ragione tutto ciò che è maschile è giusto mentre tutto quello che appare femminile o infantile viene percepito come una debolezza inaccettabile. Lui i deboli li disprezza e vuole allontanarli dalla sua vista. Questo vale per i gazawi, per gli immigrati, per le minoranze. I deboli non vanno aiutati ma puniti perché una personalità che si sente debole nel profondo proietta queste sue paure su quelle fasce di popolazione che, nella sua ottica, vanno semplicemente soppresse perché la loro mera esistenza gli suscita sensazioni dolorose.
La sua personalità di adulto sembra essere stata plasmata da Roy Cohn, un avvocato legato al crimine organizzato e uomo di punta della caccia alle streghe del senatore Mc Carthy. Cohn impianta nella mente del giovane Donald un mantra psico-affaristico basato su tre cardini: «attacca, attacca, attacca»; «non ammettere mai niente»; «di’ sempre che hai vinto e non ammettere mai la sconfitta». A giudicare dalle sue azioni, sia personali che istituzionali, sembra che l’insegnamento di Cohn sia stato determinante nell’influenzare la personalità di Trump. Qual è l’opinione dello psichiatra?
Il presidente dimostra di possedere un io infantile che pretende di stare sempre al centro dell’attenzione. Si comporta come un bambino capriccioso che vuole tutto e non si rende conto che nel mondo reale esistono dei limiti che vanno rispettati. Nella percezione del bambino non c’è realismo ma solo grandiosità, in modo tale che dopo aver ottenuto una cosa ne chiedi sempre di più. Non avendo un io strutturato in modo maturo, i desideri del presidente sono illimitati, come quelli di un bambino. Mentre questo può essere accettato per un bambino, nel caso di un adulto ci troviamo di fronte a una situazione borderline. Nascondendosi dietro slogan roboanti come “America first”, Trump cerca di imporre i limiti alla realtà e sfida qualcosa molto più grande di lui, comportandosi un po’ come Icaro che cerca di volare troppo vicino al sole e finisce per precipitare tragicamente.
Il presidente USA è connotato da un forte narcisismo e, quindi, risulta molto suscettibile all’adulazione raffinata e alla manipolazione (basti pensare a come il premier israeliano Netanyahu è riuscito a portarlo sulle sue posizioni). Questo può essere un problema molto serio per un uomo chiamato ad altissime responsabilità. Le sembra che Trump abbia mostrato la lucidità necessaria nel prendere le sue decisioni?
Trump ritiene di essere un grande seduttore ma dobbiamo ricordare che il seduttore è

anche facilmente sedotto. L’io dell’altro funziona come uno specchio dove ti viene mostrato quello che vuoi vedere e questo consente una profonda manipolazione. L’attuale inquilino della Casa Bianca tende a un ideale patologico. Avendo forgiato per sé stesso il mito dell’uomo tutto d’un pezzo, quando Trump si trova di fronte a qualcuno che percepisce come più forte e arrogante sembra subirne il fascino. Un esempio indicativo a questo proposito è il repentino cambiamento di posizione a proposito dei bombardamenti sui siti nucleari dell’Iran. Dopo aver vietato al premier israeliano Netanyahu di colpirli e aver ripetutamente dichiarato di preferire la via diplomatica al dispiegamento militare, una volta che Tel Aviv ha bombardato i siti iraniani si è pedissequamente adeguato alla scelta fatta, ordinando a sua volta un attacco statunitense che ha poi esaltato con un linguaggio pirotecnico. In realtà, quella che Trump ha definito come «la più grande operazione nella storia delle forze armate americane» non sembra sia riuscita ad annichilire gli impianti nucleari di Teheran, né a distruggere il combustibile nucleare che era stato preventivamente spostato altrove.
Il linguaggio fantasmagorico e aggressivo sembra prescindere dalle analisi basate sui fatti reali che indicano, invece, danni che sembrano limitati. Trump è il Commander in Chief del più potente esercito del mondo e guida una nazione di quasi 350 milioni di abitanti. Israele ha meno di 10 milioni di abitanti e un potentissimo esercito regionale ma, come stazza, non può assolutamente essere paragonato agli Stati Uniti. Eppure, Trump si è frettolosamente accodato alle decisioni israeliane, violando una delle principali promesse fatte durante la campagna elettorale, quella di chiudere i conflitti esistenti e non partecipare a nuove guerre. Di fronte a Netanyahu, il presidente USA si è comportato come se fosse alla presenza di un adulto autorevole e ne ha seguito le mosse. Mentre il premier israeliano ha represso il bambino che ha in sé, (basti pensare agli spietati bombardamenti su Gaza), il tycoon ha represso la figura paterna. Presi isolatamente, entrambi sono due duri che impongono al mondo la propria volontà ma, quando sono in coppia, uno fa la parte del bambino e l’altro quella del padre autoritario.
Ritiene che nel rapporto col presidente russo Vladimir Putin, visibilmente ammirato da Trump, si possa riprodurre un rapporto simile?
Putin ha un ego più strutturato, più autorevole e credibile del suo omologo. Con il suo lungo apprendistato nel KGB ha messo a punto una durezza e una spietatezza che non hanno bisogno di nessuna approvazione. Il suo decisionismo e la sua inflessibilità sono reali, non sono una posa che mira a nascondere insicurezze psicologiche. Da questo punto di vista, il presidente USA è molto più debole di quello russo. Nonostante i toni roboanti, Trump deve rispondere alle forze che gli hanno spalancato la Casa Bianca, tanto che possiamo definirlo come “eterodiretto”. Essendo inconsciamente insicuro, Trump spesso modula le sue scelte sulle reazioni degli altri, per poi a volte cambiare bruscamente linea e fare cose che sono l’esatto contrario di quanto aveva annunciato poco prima, mostrando una ipersicurezza egocentrica compensatoria che si ribella alla dipendenza.
Il 2 aprile, durante il famoso Liberation Day, Trump ha annunciato la sua politica sui dazi, per poi ritrattare, ribadirla e fare nuovamente marcia indietro. Questo mostra un atteggiamento titubante, molto diverso dal decisionismo inflessibile della sua immagine pubblica. Che cosa ci dice sulla personalità del presidente?
Trump non è coerente, cambia ripetutamente opinione, dietro una facciata di granito a volte si vedono i segni della paura e altre volte l’astuzia del mercante e affarista che non va sottovalutata (è molto abile nel tutelare i propri interessi grazie a un atteggiamento mercuriale e camaleontico). È anche il tiranno che nasconde dentro di sé l’uomo debole, come avviene per il re che perde il potere. Entrambi non sono veri monarchi. Sui dazi il presidente ha annunciato aumenti enormi che avrebbero dovuto ammutolire tutti e farli strisciare per chiedere pietà. Ma la recisa levata di scudi, che si è verificata in Cina e sui mercati dopo l’annuncio della sua aggressiva politica, lo ha subito costretto a rimangiarsi le proprie decisioni, oscillando tra la posizione del tiranno e quella del re debole. Nel momento in cui le forze psichiche inconsce (archetipo dell’Ombra: aggressività o sessualità) prendono il sopravvento l’io narcisista viene sopraffatto (esempio: molestie sessuali di cui è accusato), in una successione di cedimenti e ribellioni. La sua centratura è proiettata all’esterno oppure è solo nel campo della coscienza dell’io (egoriferimento), non è sul Sé profondo. È anche influenzata dalla legge interna interiorizzata dalle figure autoritarie del passato (Super-io sadico).
Il 28 febbraio scorso, sotto gli occhi allibiti delle TV mondiali, Trump e il suo vice Vance hanno pubblicamente umiliato il presidente ucraino Zelensky, capo di una nazione che lotta per la sua sopravvivenza, mostrando disprezzo e rancore, caratteristiche che mal si conciliano con il ruolo di leader delle «democrazie liberali». Cosa ne pensa?
In quel caso si è trattato di una vera e propria imboscata tesa al leader ucraino, anche lui dotato di una personalità narcisistica. La questione è che se non devi mai perdere la faccia non puoi mostrare segnali di debolezza e quindi il dialogo diventa molto difficile. Nella psicologia di Trump non esiste alcuna forma di ascolto dell’altro, di tentativo empatico di comprendere le ragioni di chi ha posizioni diverse. Le relazioni con l’altro sono sempre uno scontro tra «chi ha le carte e chi non le ha». In quel caso non si è trattato di un dialogo ma è stata volutamente creata una situazione in cui conta soltanto la forza e deve esserci un vincitore e un vinto. L’etologia ha ben descritto il comportamento del maschio più forte che deve necessariamente sottomettere il maschio più debole. È la stessa situazione che viene a crearsi all’interno delle gerarchie militari quando un ufficiale di grado inferiore fa un’affermazione che contraddice quella del superiore. Non si sviluppa un dibattito volto ad appurare la verità ma si tratta semplicemente di ribadire che chi ha più potere ha anche ragione, a prescindere dal merito delle affermazioni fatte. Il narcisista più narcisista è il più bello, il più forte, il più influente.
Se accetti qualunque forma di debolezza ti sentirai minacciato per cui sei costretto a reagire e contrattaccare, sempre e in ogni caso. In realtà, dietro la facciata delle dichiarazioni sprezzanti, che ignorano i più elementari dati di fatto, si cela una profonda fragilità perché finora nessuna delle promesse elettorali è stata mantenuta. Oggi Trump è molto debole rispetto alle forze che lo hanno sostenuto e portato al potere e lo ricattano, ma proprio questa debolezza gli fa montare il sangue alla testa e aumenta il suo livore verso una realtà che non rispetta le sue aspettative. Sembra profilarsi un futuro molto incerto.
Per chi è interessato, un utile riferimento bibliografico è: Robert Moore, Douglas Gilette, The King Within: Accessing the King in Male Psyche, 1992, New York, Avon Books. Si può leggere su Internet Archive. Utili i capitoli sull’ombra del re.
Pubblicazione gratuita di libera circolazione Gli Autori non sono soggetti a compensi per le loro opere Se per errore qualche testo o immagine fosse pubblicato in via inappropriata chiediamo agli Autori di segnalarci il fatto e provvederemo alla sua cancellazione dal sito Qualsiasi richiesta ingiustificata verrà considerata un abuso e potrà essere segnalata alle autorità competenti