Un fiorentino a Beverly Hills, la nuova biografia di Mario Castelnuovo-Tedesco

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di Galliano Maria Speri

Esattamente cinquant’anni fa moriva nella cittadina californiana di Beverly Hills il musicista Mario Castelnuovo-Tedesco, orgogliosamente ebreo e fiorentino, costretto dalle leggi razziali all’esilio in terra americana. La sua fama internazionale riposa soprattutto sul suo primo concerto per chitarra e orchestra, reso famoso in tutto il mondo dal grande chitarrista Andrés Segovia. In realtà, egli fu un compositore di alto livello in svariati campi musicali, colto e coerente, che scrisse sempre musica seguendo soltanto la propria ispirazione, senza schierarsi nelle file di modernisti e sperimentalisti. Per questa ragione, nel secondo dopoguerra, le sue opere vennero lentamente rimosse dai teatri e dalla rappresentazioni. Oggi il momento è maturo per riscoprire il grande valore di un compositore ingiustamente emarginato da meschine beghe ideologiche e di potere.

La nuova biografia del musicista fiorentino gli restituisce la collocazione che gli spetta, non soltanto come autore di musica per chitarra, ma come compositore tout-court, soprattutto nel campo della musica da camera e in quella vocale. Ne è autore Angelo Gilardino, compositore, chitarrista e storico della musica e amico affezionato di Mario Castelnuovo-Tedesco, oltre che curatore delle sue composizioni in corso di pubblicazione per le Edizioni Curci. Il ritratto che ci viene restituito è quello di un personaggio adamantino, forse ingenuo in qualche modo, ma sempre coerente con le proprie convinzioni e obbediente soltanto alla propria ispirazione musicale, senza nessuna concessione alle mode e alle correnti che hanno travagliato, dalla nascita, l’Italia.

Amicizie e tradimenti

Nato a Firenze nel 1895, figlio dell’alta borghesia ebraica locale, compie gli studi musicali nella sua città, completandoli con Ildebrando Pizzetti, colui che considererà sempre il suo maestro e da cui riceverà un’amara delusione. La vita di Castelnuovo-Tedesco è infatti costellata da grandi amicizie ma, a volte, anche da tradimenti che, nonostante tutto, non lo trasformeranno mai in un uomo amareggiato e rancoroso. Un esempio è fornito dalla sua amicizia giovanile con Alessandro Pavolini, di dodici anni più giovane di lui, con cui trascorre molte estati e scambia una fitta e appassionata corrispondenza fino al 1923, quando in risposta a una poetica descrizione dell’isola adriatica di Brioni, in cui stava trascorrendo le vacanze, Pavolini gli scrisse che “era l’ora di finirla” con la Grecia e con questa “civiltà decadente”, chiedendogli invece di diventare “il primo musicista di questa nuova civiltà” che sorgeva: “neo-romana, fatta di potenza e di conquista”. Ovviamente, questa amicizia giovanile non poté sopravvivere ai colpi di maglio della storia che trasformò quel “ragazzo intelligente e carino, che mi era molto affezionato” in un sanguinario gerarca fascista che si rese colpevole di molte atrocità. Il tradimento peggiore, però, fu quello dell’Italia che, con le leggi razziali del 1938, lo costrinse a cercare riparo all’estero come molti altri suoi correligionari.

[caption id="attachment_10412" align="alignleft" width="200"] 2. Alessandro Pavolini, amico d’infanzia di Castelnuovo-Tedesco, divenne in seguito un sanguinario gerarca fascista che fu catturato e ucciso dai partigiani a Dongo.[/caption]

Mario Castelnuovo-Tedesco sarebbe potuto fuggire, usando come copertura una tournée all’estero, ma fece invece una spola incessante tra i vari uffici e le diverse burocrazie per ottenere alla luce del sole il permesso d’espatrio verso gli Stati Uniti, leale fino all’ultimo verso un Paese, amato appassionatamente, che lo stava tradendo in modo vergognoso. Un altro esempio ci viene fornito da un episodio successivo quando, ormai cittadino americano, il compositore partecipò al concorso bandito dalla Campari e dalla Scala di Milano nel 1956 per la composizione di un’opera. Il lavoro sarebbe stato giudicato da una prestigiosa giuria internazionale di cui faceva parte anche il suo riverito maestro Ildebrando Pizzetti. Nell’aprile del 1958 il compositore ricevette la notizia che il suo Mercante di Venezia, tratto dall’omonima commedia di Shakespeare, si era aggiudicato il premio che consisteva in una somma in denaro e nella rappresentazione dell’opera presso il prestigioso teatro alla Scala. Dopo vari rinvii, arriva la comunicazione che l’opera sarebbe stata rappresentata nel gennaio del 1959, sotto la direzione di Gianandrea Gavazzeni. Ma da quel momento in poi, parte un penoso gioco a nascondino, ci sono difficoltà a reperire i cantanti perché il ruolo di Shylock è impervio sia per i tenori che per i baritoni, poi cala il silenzio fino a che, a novembre, gli giunge una comunicazione di Francesco Siciliani, direttore artistico della Scala, e di Gianandrea Gavazzeni. La nota lo informa che l’opera non sarebbe andata in scena. Questa scelta avrebbe amareggiato qualunque compositore ma per Castelnuovo-Tedesco la sorte aveva in serbo una sorpresa ancora peggiore quando venne a sapere, per vie indirette, che alla base della cancellazione dell’evento c’era stato proprio il suo maestro Pizzetti, divenuto da poco consulente artistico del teatro milanese, che aveva prima premiato e poi bloccato l’esecuzione dell’opera.

Mario, l’ebraismo e Shakespeare

Castelnuovo-Tedesco, che negli Stati Uniti si guadagna da vivere come compositore di musica per film e come docente privato, è sempre rimasto profondamente legato alle sue radici ebraiche tanto da comporre, sia su ordinazione che per sua scelta autonoma, molti lavori dedicati al culto nella sinagoga come Lecha Dodi (for the Synagogue of Amsterdam) del 1936 per cantor (tenore) e coro maschile. Nel 1943 compone invece un Sacred Service for the Shabbath Eve, una sorta di requiem dedicato alla memoria della madre scomparsa e di tutti i suoi cari defunti, a cui si aggiunse, nel 1949, The Book of Ruth – a Biblical oratorio, una delle sue opere di maggior respiro. Un ulteriore esempio è rappresentato da una sua altra composizione biblica sui testi del Cantico dei Cantici, musicato tra il 1954 e il 1955. Gilardino nota come scegliendo tale testo il compositore “aderisce perfettamente alla sua fede ebraica senza alcuna preclusione nei confronti di quella cristiana, giacché il testo è condiviso dalle due religioni, che lo considerano ugualmente fondamentale nelle rispettive esegesi”.

Si è visto quindi che, a differenza di molti ebrei ortodossi, Castelnuovo-Tedesco non aveva diffidenze verso il cristianesimo, tanto da musicare non solo Le Rossignol, del frate cappuccino francese François Leclerc du Tremblay, confidente del potente cardinale Richelieu, ma addirittura a realizzare un progetto per “raccontare” in musica la storia di Gesù Cristo. Il lavoro, 28 brevi pezzi per pianoforte rivolto a un pubblico di bambini, prese il nome di Evangélion e venne composto in soli due mesi alla fine del 1949. Il musicista fu così soddisfatto dal lavoro da dichiarare: “Penso (con sfacciata immodestia) che Evangélion rappresenti nella mia produzione pianistica, quello che i 24 Preludi rappresentano nella musica pianistica di Debussy, o, ancora, i 24 Preludi in quella di Chopin: l’espressione più pura e concentrata”. Se c’è però una costante nella vita di Mario Castelnuovo-Tedesco è il suo amore verso Shakespeare, dai cui testi trasse sia un gran numero di ouvertures per orchestra, due opere, È tutto bene ciò che finisce bene e Il Mercante di Venezia, e 28 Sonetti, musicati tra il 1945 e il 1947. Quasi vent’anni dopo la prima raccolta, il compositore mise in musica altri quattro Sonetti. La raccolta completa non fu però pubblicata negli Stati Uniti ma in Italia nel 2016.

[caption id="attachment_10413" align="alignright" width="82"] 3. Il leggendario chitarrista Andrés Segovia fu amico e sostenitore del compositore fiorentino e gli commissionò il Concerto per chitarra in re che, ancora oggi, è l’opera più conosciuta di Castelnuovo-Tedesco a livello mondiale.[/caption]

La biografia fa ancora luce su tanti altri aspetti della complessa produzione del maestro fiorentino, incluso ovviamente il suo cruciale rapporto con l’amico Segovia e con molti altri chitarristi a cui dedicò un gran numero di composizioni che hanno allargato notevolmente il repertorio per questo strumento. Castelnuovo-Tedesco va però riscoperto non soltanto come musicista e insegnante di personaggi oggi notissimi come André Previn, Henry Mancini o John Williams, ma anche come uomo dalla schiena dritta che rifiutò sempre ogni forma di compromesso con le varie consorterie musicali. Al suo primo rientro in Italia, nel 1948, gli venne offerta la possibilità di diventare direttore del Conservatorio di Napoli. Dietro la proposta, però, si celava il tentativo dei conservatori di usare la sua figura autorevole e pulita come uno strumento per opporsi alle “tendenze marxiste e adorniane, che puntavano a liquidare la musica e i musicisti in qualsiasi modo legati alla tradizione come relitti ornamentali di una borghesia sfatta e vanesia”. Subdorato il pericolo, nonostante il suo smisurato amore per l’Italia, Castelnuovo-Tedesco ripartì gli Stati Uniti. Un grande esempio per tutti gli intellettuali famelici di oggi, disposti a ogni compromesso per un briciolo di potere e notorietà.

Angelo Gilardino

Mario Castelnuovo-Tedesco. Un fiorentino a Beverly Hills

Edizioni Curci, in collaborazione con CIDIM. 271 pagine, 19 euro.

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