I tormenti di Catalogna e Russia nel mondo del neonazionalismo

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La Russia sembra implicata nel sostenere il movimento indipendentista catalano: a fine ottobre 2020 la Guardia Civil spagnola ha arrestato 21 esponenti del gruppo separatista Tsunami Democratic nell’ambito di una lunga indagine, cominciata in relazione all’illegale referendum anticostituzionale per l’indipendenza della Catalogna dell’ottobre 2017, e contestualmente si è saputo dei contatti da quel gruppo intrattenuti con esponenti russi. All’indagine è stato dato il nome di Operación Volhov, richiamando con questo la prima grande battaglia sostenuta con momentaneo successo nell’ottobre 1941 in Russia dalla División Azul, le truppe inviate da Franco a combattere al fianco dei nazisti.
I due fatti, il coinvolgimento dei Russi nel separatismo catalano (peraltro smentito dai diretti interessati) e la scelta del nome attribuito alle indagini, sono il segno di quanto si stia imbarbarendo la politica internazionale.
Consideriamo i due fatti nel contesto più vasto.
Separatismo catalano
Il separatismo catalano è un movimento endemico e storicamente radicato in Spagna. Già prima che si raggiungesse l’unità spagnola a seguito del matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona (1469) i nobili catalani erano una spina nel fianco del regno di Aragona. E in tutti i secoli seguenti vi sono stati a più riprese fermenti indipendentisti. Il centralismo imposto durante la dittatura franchista li ha messi a tacere manu militari, ma dopo la Costituzione del 1978, e per quanto questa sia stata approvata con referendum anche in Catalogna, la tensione è ripresa, facendosi forte di fenomeni tra loro più diversi. Uno di questi è stato la corruzione: i governi autonomici, a partire da quelli a guida Jordi Pujol, si sono giovati del sistema delle mazzette per ramazzare ingenti quantità di denaro dall’economia catalana: poi i corrotti si proteggevano anche soffiando sul fuoco dell’indipendentismo. Come dire: “ci accusano non perché corrotti, ma perché patriottici”! Ed è stato proprio indagando su questi filoni corruttivi che gli investigatori sono incappati nella trama di contatti tra Tsunami Democratic, uno dei tanti fronti messi in piedi per diffondere propaganda indipendentista, ed esponenti russi.
Il separatismo catalano non è sostenuto dalla maggioranza della popolazione ma gode di un certo margine solo nelle campagne e nelle zone più ricche delle città, ovvero i borghesi che ambiscono ad avere mano libera nel gestirsi la fiscalità come meglio gli aggrada e le persone più sensibili alla propaganda, probabilmente per carenza di cultura. E gode anche di un ampio apparato propagandistico con stazioni radio e televisive totalmente finanziate e dedite alla causa.
Che i finanziamenti giungano da alcuni esponenti della borghesia catalana è molto chiaro. Pare ora che vi siano sostegni anche di provenienza russa.
L’aspetto internazionale
La presenza russa non è una novità. Già nell’ottobre 2017, all’epoca del referendum illegale, erano emersi contatti tra gli indipendentisti catalani e politici dell’Ossetia, che aprì una delegazione a Barcellona proprio allora: una manovra ovviamente coordinata col Cremlino che mostrava così il sostegno alla causa catalana. In tale contesto sono emersi anche contatti tra gli indipendentisti catalani e Julian Assange, l’anarchico australiano fondatore di Wikileaks. Contatti ribaditi nell’ambito dell’inchiesta in corso in Catalogna: come riferisce il giornale El Mundo il 28 ottobre 2020, uno dei personaggi arrestati, Oriol Soler Castanys, è un imprenditore, ideologo indipendentista e finanziatore degli incontri con Assange.
Il ruolo di Assange
Il ruolo di Assange è difficile da definire: le sue rivelazioni sono state rilevanti nel portare alla luce traffici sporchi e ingerenze pericolose. Ma da dove ricava le informazioni che distribuisce in quantità industriale scaricandole nella Rete? Andando a naso si può supporre che parte di queste arrivino effettivamente da whistle blower che operano in diverse amministrazioni e che sono onestamente interessati a denunciare affari sporchi. Ma tale è la quantità di rapporti segreti da lui trattati che non è pensabile che nei suoi canali non si rovescino anche flussi cospicui di informazioni provenienti da agenzie e personaggi desiderosi di utilizzarli per i propri interessi. Così, anche se all’inizio egli fosse stato solo un elemento indipendente sullo scacchiere internazionale, è molto probabile che da tempo sia diventato uno strumento di parte.
Perché la Russia
Lo abbiamo già evidenziato in passato: la Russia di Putin dopo il disastro di Eltsin è tornata una stella di prima grandezza. L’annessione della Crimea nel 2014 è stato senz’altro un atto riprovevole e illegale, ma è stato anche qualcosa di ovvio, trattandosi di una penisola totalmente occupata da militari russi. La NATO e con essa l’UE si è incaponita con le sanzioni che agli occhi dei Russi non rappresentavano altro che l’aumento delle ingerenze occidentali nella recuperata sfera di influenza russa: ingerenze divenute sempre più insistenti dopo la caduta dell’URSS. Ma la Russia di Puntin, avendo rialzato il capo, ha preso a  rispondere, e lo fa cercando di destabilizzare ove può. Di qui che non sorprende che sostenga i movimenti indipendentisti in Spagna o l’estrema destra in Italia e Francia, né ci sarebbe da sorprendersi se un giorno emergesse che fa lo stesso anche in Germania. Forse più curioso è constatare che la destra estrema italiana, che all’epoca del comunismo era totalmente antirussa, sia diventata russofila e pertanto implicitamente favorevole allo smembramento dell’unità europea.
Un aspetto probabilmente folklorico emerso nelle indagini della Guardia Civil, è che in Catalogna si aspettavano il possibile supporto di 10 mila militari russi per l’indipendenza catalana; d’altro canto che tale dato sia emerso nel corso delle telefonate intercettate, è come minimo indizio di come vivano in un mondo tutto loro questi indipendentisti. E comunque bisogna ricordare che dietro ogni mito c’è sempre un grano di verità: se riescono a cullarsi in sogni così astrusi è perché probabilmente qualcuno glie ne ha porto il destro.
Il neocentralismo spagnolo
I fermenti indipendentisti, favoriti in Spagna dall’atteggiamento dei governi Zapatero del periodo 2004-2011, si sono ovviamente tradotti in forte risentimento da parte delle frange della società spagnola più inclini a difendere l’unità del Paese: è rinata così una polarizzazione simile (mutatis mutandis) a quella dell’epoca della guerra civile del 1936-39. Pertanto in via indiretta, il sostegno esterno fornito agli indipendentisti si traduce anche in un sostegno dato all’emergere di un nuovo estremismo destrorso, che in Spagna ha preso la forma del partito Vox, che ha buon gioco nel criticare non solo l’inconsistenza del governo socialista a fronte degli indipendentisti, ma anche la timidezza del più tradizionale, moderato e propenso al compromesso Partido Popular. Ne viene una crescente polarizzazione verso le frange estreme che ormai da qualche anno stanno crescendo. Nazionalismo catalano, contro nazionalismo spagnolo: muro contro muro. In tale ambito risulta quanto mai inappropriato e preoccupante che la Guardia Civil abbia scelto, per etichettare l’indagine sugli indipendentisti catalani sostenuti dalla Russia, un nome che richiama l’invasione nazista in Russia e l’epoca franchista: è un po’ come voler dire che a un atto inaccettabile si risponde con un altro atto inaccettabile – seguendo la logica del muro contro muro.
Non solo la Spagna
Dunque in Spagna sta sobbollendo un conflitto tra lo Stato e chi desidera rompere lo Stato così come questo si è configurato in epoca di democrazia. E tale conflitto, esattamente com’è stato con la Guerra Civile del ’36, non è solo interno alla Spagna, ma riflette le tensioni esistenti tra i diversi allineamenti di Paesi.
Nel mondo post-ideologico è andato crescendo ovunque il nazionalismo, con una regressione drastica rispetto all’impulso volto a costruire intese di carattere mondiale, sorto dopo la seconda guerra mondiale nel nome della ricerca della pace. In Italia le prime avvisaglie di questo si sono configurate con l’emergere della Lega Nord in coincidenza col crollo del Muro.
Oggi nel mondo l’ondata di neonazionalismi che si sono tradotti nel fenomeno Trump negli USA e nella Brexit in Europa, è accompagnato dal radicarsi di governi di tendenza autocratica. È questo l’oggetto di uno studio pubblicato dal SIPRI nel marzo 2020, “Democracy Report” in cui si indica come si stiano configurando diversi regimi, o non democratici, o di ridotta consistenza democratica tra cui in Ungheria e nell’India di Narendra Modi, che si aggiungono a regimi autocratici consolidati come quello della Russia di Putin e della Cina di Xi Jinping.
Naturalmente dal punto di vista russo o ungherese “Democracy Report” sarà considerata un’opera di propaganda di un qualche deep state, che è poi la formula contemporanea per esprimere quel tipo di propensione paranoide che un tempo amava prendersela con la cospirazione giudeo massonica. Dal punto di vista nazionalista il pericolo sta sempre nell’altro.
La conferma delle interconnessioni
In realtà tutto quel che sta avvenendo non fa che confermare quanto il mondo sia inestricabilmente interconnesso. Il fatto che l’ondata nazionalista sia globale, dimostra che viviamo inevitabilmente in un mondo globalizzato. E lo confermano le continue ingerenze intrecciantesi sul piano transnazionale, come quella ravvisata dalla Guardia Civil in Catalogna a opera della Russia.
Comprendere e accettare questo fatto è il passo previo necessario per evitare che le tensioni dell’ideologia neonazionalista, che sta prendendo il posto delle vecchie ideologie, conducano verso nuovi conflitti. Perché le chiusure nazionaliste prima o poi sono inevitabilmente condannate ai conflitti. Già li hanno esacerbati all’interno dei Paesi: questo s’è visto negli Stati Uniti in particolare con Trump, come anche in Spagna da Zapatero in poi (incluso col governo dell’inane Rajoi), nella Bielorussia di Lukashenko o nella Cina che non riesce a scendere a patti con Hong Kong o con altre minoranze quali la popolazione dello Xinjiang. E la pressione del Covid-19 sta scatenando nuove tensioni interne un po’ ovunque.
Recuperare il centro, non il centrismo
Già a suo tempo Agostino Gemelli, francescano, psicologo e fondatore dell’Università Cattolica, aveva notato che nelle crisi riemergono i campanilismi: al di là delle ideologie, quando prevale l’insicurezza le persone cercano di rifugiarsi in quel che riconoscono come “casa” e di barricarcisi dentro. Eccetto che il campanilismo, a differenza del nazionalismo, presuppone il campanile, ovvero la parrocchia (in inglese l’equivalente è parochialism), che è bensì espressione di una comunità locale, ma ben conscia di essere parte di una più ampia comunità universale. Perché la Chiesa è istituzione tipicamente “glocale” essendo organizzata in diocesi ciascuna in certo senso sovrana, ma unita a tutte le altre diocesi dal comune credo.
Invece sul piano non religioso, ma statuale, il senso della comune appartenenza nell’epoca contemporanea è stato dato dall’istituzione delle Nazioni Unite prima, e in anni più recenti dalla crescente consapevolezza dei rischi ambientali che vanno affrontati assieme tramite accordi internazionali. Non a caso le tendenze nazionaliste hanno perlopiù voluto denunciare tali accordi, in qualsiasi sede si siano manifestati.
Oggi il problema è, se nei Paesi che maggiormente influiscono nel mondo si possa recuperare una politica di centro, e si possa rifuggire dalla polarizzazione estremizzante. Questo spunterebbe le armi di coloro che mirano alla destabilizzazione tramite l’esacerbazione degli estremi.
Stati Uniti, Russia e Cina sembrano aver rinunciato per ora alla politica della moderazione. Quindi resta all’Unione Europea la grande missione, per il prossimo futuro, di riaffermare il centro inteso come equilibrio ragionevole, non il centralismo inteso come sopraffazione.

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