Lo smaccato disegno di potere dietro le grandi elargizioni dei super-miliardari

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Le politiche di austerità, seguite alla crisi economica del 2008, hanno aperto uno spazio di manovra immenso ai progetti dei grandi filantropi che, con i loro miliardi, hanno svolto un ruolo rilevante nel supplire alle carenze dei governi e delle istituzioni internazionali. Ma, donando una minuscola parte delle loro immense ricchezze, i filantrocapitalisti hanno conquistato una posizione determinante, non solo nei circoli economici e finanziari, ma anche all’interno di istituzioni come l’ONU e l’Organizzazione mondiale della sanità. Un interessante libro, ricchissimo di dati e informazioni, ricostruisce il lato sconosciuto delle grandi organizzazioni filantropiche e analizza la loro sofisticata strategia che ha poco a vedere con la generosità altruistica.

Oggi, nel bel mezzo della peggiore pandemia dalla Prima guerra mondiale, potrebbe sembrare folle criticare i massicci investimenti compiuti dalle grandi istituzioni filantropiche nel settore della ricerca di nuovi vaccini, o nelle strutture sanitarie dei Paesi meno sviluppati. Ovviamente, il libro non critica le campagne di vaccinazione, le iniziative volte a far nascere nuove realtà produttive o a combattere la povertà, ma parte dal presupposto che se nel mondo globalizzato ci fosse una seria politica di redistribuzione non avremmo nessun bisogno della generosità dei super-ricchi.

Donare per continuare a mantenere il proprio potere

La figura del capitalista-filantropo è rappresentata al meglio da Andrew Carnegie, uno degli uomini più ricchi che gli Stati Uniti abbiano mai avuto. Carnegie era un robber baron, quegli imprenditori abilissimi e senza scrupoli che, usando spietati metodi da bandito, erano riusciti ad accumulare enormi fortune nell’America della seconda metà dell’Ottocento. Nel 1889, all’età di sessantacinque anni, l’imprenditore dell’acciaio vende tutte le sue società al banchiere J.P. Morgan per la cifra astronomica, e inaudita, di quasi cinquecento milioni di dollari. Da quel momento, Andrew Carnegie decide di dedicarsi totalmente alla filantropia finanziando biblioteche pubbliche, sale da concerto, musei, università e fondazioni. Come non gioire di fronte a tale conversione sulla via di Damasco? Finalmente il cuore di pietra del crudele capitalista è stato toccato da un senso di pietas. Le cose non stanno proprio così, visto che tre anni dopo Andrew Carnegie decide di sfidare gli operai e i sindacati dei suoi stabilimenti con un contratto di lavoro che imponeva una riduzione di salario del 35%. Gli scontri e le tensioni che ne derivano terminano quando il “padrone” Carnegie recluta crumiri e truppe paramilitari per riprendere il controllo della fabbrica. Negli scontri muoiono sedici operai.

Vicissitudini simili colpirono anche John D. Rockefeller, ricchissimo monopolista dell’industria petrolifera e creatore, all’inizio del Novecento, della fondazione omonima che nasceva per “promuovere il benessere e far avanzare la civiltà della popolazione degli Stati Uniti, nei suoi territori e possedimenti, e nelle terre straniere; stimolare l’acquisizione e disseminazione della conoscenza; promuovere la prevenzione e sollievo dalla sofferenza; stimolare la promozione di ciascuno e di tutti gli elementi del progresso umano”. Tali nobili princìpi non impedirono però a Rockefeller di far intervenire delle guardie private contro i minatori in sciopero nelle miniere della Colorado Fuel and Iron, di proprietà della famiglia, a Ludlow. I miliziani uccisero 21 persone, minatori e familiari: 12 erano donne e bambini. Il massacro della cittadina del Colorado fu considerato il crimine di stato più violento nella lotta sindacale dei minatori americani. Una lotta che coinvolse circa 12.000 lavoratori, dall’autunno del 1913 fino al dicembre 1914.

Coniugare filantropia e interessi personali

Oggi, il tempo dei robber barons è finito definitivamente e i miliardari non hanno più l’aspetto truce dei Carnegie e dei Rockefeller e, soprattutto, usano metodi completamente diversi. Negli ultimi tre decenni sono state accumulate fortune enormi perché nessuna legge è riuscita a temperare il processo della globalizzazione selvaggia e la politica fiscale degli Stati Uniti è stata modificata in favore delle classi abbienti. La progressività dell’imposizione fiscale è stata drasticamente ridimensionata e oggi “la maggior parte dei miliardari –scrive Dentico– paga molte meno tasse grazie a un escamotage che permette di non annoverare come reddito il capitale guadagnato tramite hedge funds, i fondi speculativi. La ricerca degli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman evidenzia che le 400 famiglie più ricche d’America hanno pagato nel 2018 un’aliquota effettiva del 23%, cioè un punto percentuale in meno di quello versato dalle famiglie delle fasce sociali meno abbienti (24,2%)”. Inoltre, le donazioni alle fondazioni benefiche consentono detrazioni che rendono molto vantaggiosa l’operazione.

Il pioniere della figura del moderno filantrocapitalista è senza ombra di dubbio Bill Gates, il

La sede della Microsoft a Redmont, nello stato di Washington. Bill Gates non ha più cariche operative ma la sua strategia filantropica è parallela agli interessi commerciali della creatura che ha fondato.

fondatore della Microsoft che, insieme alla moglie, guida una delle più influenti fondazioni operanti a livello globale. L’autrice paragona le figure appartenenti all’oligarchia delle nuove tecnologie alle aristocrazie civili o ecclesiastiche del Medioevo, con la differenza che i “nuovi signori” detengono anche un potere inattaccabile nel settore delle nuove conoscenze. “I sovrani tecnologici di questa saga – Microsoft, Apple, Facebook, Google, Amazon e Netflix – godono dei monopoli brevettuali nei territori digitali di riferimento. Negli inespugnabili castelli della proprietà intellettuale in cui sono asserragliati difendono le loro posizioni dominanti, forti di regole dell’economia globale che riproducono il circolo vizioso della disuguaglianza ed espandono l’abilità di queste élite imprenditoriali di influenzare la politica per proteggere i loro privilegi. In un gioco nella deriva verso il feudalesimo non solo negli Stati Uniti ma su scala globale”.

Molti rimangono ammirati di fronte agli enormi capitali donati da Gates a cause nobili e sottoscrivibili, ma forse è meglio non dimenticare che “nel 2012, un rapporto del Senato americano calcolava in quasi 21 miliardi di dollari la quantità di denaro che Microsoft era riuscita a trafugare nei paradisi fiscali in un periodo di tre anni, grosso modo l’equivalente della metà dell’incasso netto delle vendite al dettaglio negli Stati Uniti, con un guadagno fiscale di 4,5 miliardi di dollari annui sui beni venduti in America”. Bisogna inoltre considerare che, come tutte le fondazioni, Gates e sua moglie ricevono consistenti fondi pubblici per le loro attività, senza peraltro che il pubblico che li cofinanzia abbia la minima voce in capitolo su scelte e priorità di intervento. Tramite la GAVI Alliance, una cooperazione di soggetti privati e pubblici che si ripropone di migliorare l’accesso all’immunizzazione dei cittadini dei Paesi poveri, Gates è anche arrivato a ricoprire un ruolo determinante all’interno dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), da tempo sofferente per una cronica mancanza di fondi.

Bill Gates non incontra difficoltà a imporsi come il pifferaio magico della salute globale. A diventare “il più potente dottore del pianeta”. Crea una costellazione sempre più complessa e diversificata di iniziative pubblico-private per ”attivare il progresso di scienza e tecnologia con l’intento di salvare vite nei paesi in via di sviluppo”, ciò che gli consente di interagire a tutto tondo con la comunità scientifica, le organizzazioni non governative, le istituzioni internazionali. Forse non tutti sanno che la Microsoft ha notevoli interessi in Africa, dove è approdata nel 1995. “Nel 2013 –scrive l’autrice- Microsoft ha lanciato Microsoft4Afrika Initiative, un programma di sviluppo del mercato in Africa con cui il colosso del software punta a promuovere l’internet delle cose attraverso la digitalizzazione del commercio e della funzione pubblica nel continente. Salta immediatamente agli occhi la sovrapposizione degli ambiti commerciali di Microsoft con quelli filantropici della Fondazione Gates“.

La privatizzazione delle organizzazioni internazionali

Ted Turner, fondatore della CNN, la prima rete di informazioni via cavo negli USA. È presidente della UN Foundation, una struttura privata che ha una collaborazione ufficiale con le Nazioni Unite.

La fine della Guerra fredda ha come effetto collaterale quello di depauperare i fondi pubblici verso le grandi istituzioni, come l’ONU e l’Oms, e questo ha creato notevoli opportunità a Ted Turner, fondatore della CNN e poi co-presidente della Time Warner Inc. Dopo aver annunciato la sua intenzione di donare all’ONU 100 milioni di dollari all’anno per dieci anni (ma poi ha versato soltanto una parte di quanto promesso), Turner crea la UN Foundation e il Better World Fund per gestire con le Nazioni Unite tali ingenti somme, firmando nel 1998 un accordo che inaugura una nuova era nella relazione tra il sistema ONU, il mondo profit e la filantropia globale. In questo modo, però, inizia ad affermarsi “dentro il sistema Onu, insieme agli altri attori della venture philanthropy, una nuova egemonia culturale che depoliticizza le sfide del mondo e punta a risolverle con soluzioni di mercato, così da indirizzare e misurare secondo questa cultura le politiche delle Nazioni Unite e le operazioni delle agenzie. Tutto questo, attraverso il grimaldello delle partnership pubblico-private”.

Il libro documenta con chiarezza che, di fronte alle imponenti iniziative dei filantrocapitalisti, non ci si può fermare a una valutazione superficiale, ma è necessario analizzare le implicazioni sul lungo termine. La trasformazione del capitalista in benefattore lo rende un personaggio inattaccabile, che può impunemente continuare a prosperare nella sua posizione di monopolio, forte dell’enorme massa di dati che raccoglie e conserva. Tramite le generose donazioni, i super ricchi del mondo sono riusciti a rivestire di sacralità i profitti che hanno accumulato negli anni e oggi si trovano sulla cima di una piramide che intende decidere il futuro dell’umanità, ma totalmente al di fuori di qualunque processo democratico. Questi sono temi che devono essere conosciuti, studiati e discussi, data la loro importanza cruciale. Il saggio termina ricordandoci che “gli emarginati della Terra non vogliono carità, vogliono giustizia”.

Nicoletta Dentico
Ricchi e Buoni?
Le trame oscure del filantrocapitalismo
EMI, pp 280, 20 euro

di Galliano Maria Speri

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