La lettura della recente direttiva sulla cosiddetta unione bancaria europea non ci induce all’ottimismo a dispetto dei soliti laudatores di regime. La direttiva sui salvataggi e sulle liquidazioni delle banche varata dal Consiglio dell’Unione Europea sorprende per la sua scarsa incisività. Più che una riforma è un documento che sancisce il comportamento delle autorità europee e nazionali ben conosciuto negli ultimi mesi, in particolare dopo la crisi bancaria di Cipro.

Vi si afferma che la crisi finanziaria ha evidenziato la mancanza di strumenti di intervento nei confronti delle istituzioni finanziarie in gravi difficoltà al fine di prevenirne la bancarotta o di gestirne la liquidazione.

In passato si sono utilizzati soldi pubblici per operazioni di salvataggio e per evitare effetti destabilizzanti per il sistema. Anche alle banche solventi, in verità, sono stati concessi aiuti con l’immissioni di liquidità da parte della BCE o con altre garanzie statali per i titoli in loro possesso.

Dopo avere speso diverse centinaia di miliardi di euro ovviamente presi dalle tasche dei contribuenti, l’Europa oggi si dichiara inorridita da tali scelte e introduce il bail in. Cioè saranno per primi gli azionisti e i creditori della banca a rischio di fallimento a dover contribuire al salvataggio.

Indubbiamente è più corretto. Ma si ricordi che i cosiddetti anonimi “creditori” altro non sono che i risparmiatori titolari di conti correnti presso la banca in crisi.

La legge, come noto, prevede che potranno essere aggrediti i depositi che non godono delle garanzie previste, cioè quelle fino a 100.000 euro.

Le nuove regole stabiliscono che, se fosse insufficiente lo strumento del bail in e se il fallimento della banca fosse destabilizzante per il sistema, le autorità potrebbero intervenire con il Meccanismo e con il Fondo di risoluzione europei. Ma questo Fondo dovrebbe diventare attivo nei prossimi 10 anni! Solo allora diventerebbe un meccanismo unitario con la mutualizzazione dei rischi. Nel frattempo, al di la delle tante e belle parole sull’approccio bancario unitario e sulla fine della frammentazione del credito in Europa, i governi nazionali di fatto continueranno ad  intervenire con il bail out, cioè con gli aiuti di stato, magari anche con la temporanea acquisizione pubblica della stessa banca.

E’ evidente che la finanza resta privilegiata e batte alla grande il lavoro e l’imprenditorialità.

La nuova unione bancaria da un lato rinvia nel tempo e dall’altro concentra l’intervento sugli strumenti e sulle procedure attuabili in caso di alto rischio o di liquidazione bancaria. Ma quando si è sulla soglia della bancarotta o della liquidazione vuol dire che la malattia è già conclamata e che si sta intervenendo troppo tardi!

Perciò riteniamo che una legge bancaria efficace dovrebbe anzitutto verificare i comportamenti e le attività delle banche e del sistema finanziario per correggerli o sanzionarli severamente al fine di evitarne la bancarotta.

E’ davvero sconcertante e sorprendente il fatto che nella lunga direttiva non sia menzionata neanche una volta la parola “speculazione”!

Eppure tutti sanno il suo ruolo nefasto nelle operazioni dei mutui subprime, nei mercati non regolamentati dei derivati Otc. Per non parlare delle speculazioni sulle monete e sulle commodity fatte con i futures. Questi sono i campi principali delle attività finanziarie delle grandi banche internazionali ed europee con impatti sistemici.

Le banche europee, con la Deutsche Bank in testa, hanno, purtroppo, da tempo pericolosamente superato le cugine americane sui mercati dei derivati finanziari.

Perciò resta urgente una vera riforma bancaria per affrontare le cause del malfunzionamento dell’intero sistema.

I governanti europei, ancora una volta, ignorando le istanze provenienti dal mondo del lavoro e dell’impresa, non hanno affrontato il cuore del problema che è quello della separazione delle banche commerciali da quelle di investimento. Le prime raccolgono risparmio da utilizzare per crediti non speculativi e a sostegno dei settori produttivi dell’economia mentre le seconde operano con i soldi propri e a proprio rischio. Così come si fece negli Stati Uniti nel lontano 1933 con la legge Glass-Steagall.

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

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