Cardini: il fascismo nella storia e nell’attualità, tra retorica e giravolte

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Vladimir Putin e Xi Jinping, maggio 2024. Secondo Cardini, l'atteggiamento delle democrazie liberali sta spingendo Putin tra le braccia di Xi. Foto di Kremlin.ru, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=148500587

Fascismo, fascista. Sono termini usati comunemente come una grande categoria in cui si fa ricadere un fenomeno storico variegato e complesso che ha conosciuto espressioni differenziate in periodi e nazioni diverse. Abbiamo intervistato lo storico Franco Cardini per cercare di chiarire almeno alcuni aspetti di tali differenze.

Nelle grandi dittature emerse in Europa occidentale nella prima metà del ‘900, il fascismo è stato un’unica grande corrente con poche peculiarità nazionali o ha senso parlare di differenze significative?

Si dice, ma l’affermazione è molto discutibile, che l’essenza del fascismo stia nella tirannia, ma se fosse semplicemente così lo si troverebbe in buona compagnia… Se però si chiede qual è l’elemento distintivo della tirannia fascista rispetto alle altre forme di tirannia, trovo che le risposte non sono affatto chiare. È vero che c’è il tema del razzismo e che i movimenti fascisti dalla seconda metà degli anni ‘30 hanno subito molto l’attrazione del movimento razzista, il quale si rifaceva al modello fascista sia in termini ideologici, sia in termini propagandistici e direi quasi in termini estetici atti all’organizzazione del consenso. Il nazionalsocialismo, che è stato radicalmente razzista, del modello fascista riprendeva certamente molti aspetti: ma si trattava di aspetti esteriori. Non ne riprendeva gli aspetti sostanziali.

Il nazionalsocialismo procedeva da una forma di governo di stampo dirigistico forgiato dai ceti dirigenti della Germania, e questo era molto diverso dal fascismo italiano che invece, per il tramite dell’ideologia corporativista operava una sorta di mediazione molto articolata tra ceti dirigenti e popolo. Altre diversità conteneva il fascismo spagnolo che è stato il risultato di un compromesso tra vari gruppi; di questi il più rilevante era senza dubbio la Falange di José Antonio Primo de Rivera che aveva connotati abbastanza vicini al fascismo in particolare per l’orientamento all’uso del sindacalismo. La Falange era tipicamente fascista, perché nasceva dal tentativo di unire istanze a carattere sociale con istanze a carattere nazionalistico. E direi che l’essenza del fascismo sia fondamentalmente questo. Tanto che nel primissimo fascismo italiano erano confluiti vari esponenti dei movimenti sindacalisti rivoluzionari – penso per esempio a Filippo Corridoni, a Alfredo Oriani e ad altri.

Ma il fascismo spagnolo si è tradotto ben presto nel franchismo. Cioè nella sintesi operata dal generale Francisco Franco che, con senso cinico e finalità pratiche, non ha esitato a mettere assieme forze politiche che tra loro avevano pochissimo in comune: ha fatto propria e trasformato la Falange Española nel lasso di tempo relativamente breve della guerra civile spagnola, tra l’alzamiento del 1936 e il 1940-41, quando è stato chiaro che la Spagna non sarebbe entrata nel conflitto europeo. E insieme con la Falange nel suo partito unico ha fatto confluire anche i tradizionalisti, i monarchici, i cattolici antimoderni e anti giacobini, e soprattutto i vecchi nazional sindacalisti che avevano ripreso le idee del sindacalismo rivoluzionario. Il partito di Franco nel nome stesso rifletteva la sua eterogenea composizione. Si chiamava Falange Española Tradicionalista de las JONS. Andando per parti: “Falange Española” si riferiva al partito fondato da José Antonio Primo de Rivera; “Tradicionalista” si riferiva alla Comunión Tradicionalista Carlista che, dei due gruppi monarchici spagnoli era quello favorevole al ramo secondario della casa regnante, cioè non a quella di Alfonso ma a quella dei discendenti di Don Carlos; “de las JONS” sta per Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista, un gruppo che originariamente aveva forti connotati oggi si direbbe di “sinistra nazionalista” – più di sinistra nazionalista che di destra sociale.

Che cosa intende per “destra sociale”?

È un’espressione, beninteso sa un po’ del minestrone, ch’è venuta fuori in Italia negli ultimi tempi per indicare alcune correnti all’interno del Movimento Sociale Italiano e poi forse anche di Alleanza Nazionale. E direi che una degli esponenti di questa destra sociale sia stata proprio Giorgia Meloni, che peraltro quando è diventata la leader politica attuale ha abbandonato totalmente questi atteggiamenti, in qualche caso anche compiendo una svolta di 180 gradi.

Insomma, io sarei portato a pensare che sul fascismo c’è ancora molto lavoro da fare, molto terreno da esplorare.

Eppure sono stati molti gli studiosi che vi si sono cimentati…

A me sembra che tra coloro che lo hanno indagato in modo specialistico, chi è arrivato a conoscere meglio il movimento fascista (ma lui preferisce dire “i fascismi” al plurale), sia stato l’israeliano Zeev Sternhell.

Sternhell ebbe la famiglia sterminata dai nazisti e nei suoi studi ha indagato a fondo e ben inquadrato le origini del fascismo, che propriamente furono di sinistra. Oltre a quello primigenio italiano ha indagato anche i casi francese e spagnolo, e ha portato delle correzioni molto attente e acute al lavoro classico di Ernst Nolte.

Nolte, studioso di grande serietà a torto definito “revisionista”, un termine che trovo piuttosto antipatico, sottolineava questi tre volti del fascismo: quello più spiccatamente conservatore, tradizionalista, ecc. che vedeva incarnato nell’Action Française, quello nazionalista e sociale che ravvisava in Mussolini, e quello più propriamente nazional-socialista che, a dispetto dell’espressione formale che sembra riferirsi a un carattere socialista, è stato invece fondamentalmente caratterizzato da un fortissimo elemento razzista – che ha prevalso anche fuori dalla Germania dalla seconda metà degli anni ’30 a conseguenza della forte attrazione esercitata dal nazismo sui movimenti fascisti.

Quindi si può dire che, almeno all’origine, vi sia stata una netta distinzione tra fascismi e nazismo…

Direi che il nazismo, rispetto ai fascismi, sia stato il movimento più problematico. Il movimento che meno si potrebbe avvicinare all’esperienza dei fascismi storici che sono sorti nell’ampio arco europeo, come anche nel mondo latino americano o perfino arabo. L’idea primigenia dell’unione fra la socialità e il nazionalismo venne dall’Italia. Seguirono poi la Francia, la Spagna e il Portogallo. E nell’Europa orientale vi furono alcune esperienza rumene e altre esperienze ungheresi. Quando si arriva al dopoguerra si manifestano alcune forme di post-fascismo molto caratteristiche, quali per esempio il peronismo in Argentina o il nasserismo in Egitto che fu una forma di socialismo arabo. Insomma, siamo di fronte a uno spettro molto ampio, molto articolato, con tante variabili. Ma di fronte a un fenomeno così ampio, di solito si preferisce assimilare tutto in un minestrone, un magma informe di ideologie malvagie.

Limitandosi al piano personale, ci sono queste tre figure: Mussolini, Hitler e Franco. E, poiché forte fu la contiguità tra fascismi e mondo militare, si nota che i primi due furono caporali mentre il terzo fu un generale, militare per famiglia, formazione e vocazione. I primi due militaristi e guerrafondai, il terzo forse meno propenso alla guerra, come di solito è il caso dei militari di carriera. In fondo anche nella guerra civile del ‘36 Franco viene praticamente trascinato da Mola e Sanjurjo…

Sì, però Franco era stato lo “eroe”, si fa per dire, della repressione dei minatori delle Asturie nel ‘34, al tempo del cosiddetto bienio negro, il periodo in cui dominò un governo reazionario dopo che nel 1931 si era instaurata la Repubblica. Poi è stato cooptato nel quadrumvirato con Sanjurjo, Mola e Queipo de Llano. E in quel quadrumvirato Franco è stato quello che ha goduto di maggiori appoggi dall’estero. Anche dopo la guerra civile ha continuato a godere di appoggi esteri, proprio perché era un militare di professione.

Mussolini e Hitler, da convinti nazionalisti, non avevano interesse a diffondere nel mondo la loro ideologia. In questo il fascismo, nonostante le sue origini, era lontano dall’atteggiamento del mondo socialista. Interessava però che i militari vedessero nell’ideologia fascista qualcosa di adatto alle loro prospettive. Le forze armate evidentemente erano viste sia da Mussolini sia da Hitler come potenziali alleati dei loro movimenti. E in effetti quest’alleanza c’è stata e ha funzionato almeno fino al ‘44. Poi nel ‘44 i militari si sono accorti che l’alleanza con Hitler li portava verso una situazione di assoluta rovina e hanno cercato di correggere il tiro. Penso soprattuto alla Romania col generale Antonescu e all’Ungheria con l’ammiraglio Horty: ma non appena questi hanno cominciato a prendere le distanze dal nazismo, la reazione di Hilter è stata drastica. Ha esautorato sia Antonescu sia Horty, e ha messo al loro posto i capi di quelle formazioni che Carl Schmitt chiama Politische Soldaten, i “soldati politici”.

Sono le milizie fasciste, di stampo militarista. Ma è un militarismo particolare, con forti tinte ideologiche. Lo si vede nel movimento delle croci frecciate di Ferenc Szálasi che governa l’Ungheria tra i l ‘44 e il ‘45 con una ferocissima repressione antisemita. Forse questo delle croci frecciate è stato il movimento più ferocemente antisemita, ancor più dei croati di Ante Pavelić, che peraltro gli somigliavano molto. E la Legione dell’Arcangelo Michele, cioè la vecchia Lega legionaria, detta anche Guardia di Ferro, di Corneliu Zelea Codreanu, che era stato fatto uccidere dal re di Romania prima della guerra e non aveva potuto prendere il governo. Ma in un primo tempo, durante la cobelligeranza tra Germania e Romania contro l’Unione Sovietica, la Legione dell’Arcangelo Michele era servita un po’ da partito unico inquadrato come milizia a sostegno del regime del generale Antenescu il quale, monarchico conservatore, non gradiva affatto questo tipo di cose, ma le subiva. Fin quando nel ‘44 Hitler non lo rovesciò per sostituirlo coi seguaci di Codreanu che governarono sino a quando con la liberazione non si instaurò il regime comunista.

Anche quei movimenti di estrema destra centro- ed est-europei ebbero contiguità coi movimenti della sinistra?

Sul piano pratico c’è stato un travaso generale tra le formazioni dell’estrema sinistra e quelle formazioni dell’estrema destra. Non è un mistero per nessuno che la prima milizia nazista, le camicie brune, le Sturmabteilung (SA), i “reparti d’assalto”, erano in gran parte costituiti da ex spartachisti. Cioè da gente che al tempo del tentativo di repubblica sovietica in Austria, in Baviera, ecc. erano stati comunisti. E questo succedeva anche nella Falange spagnola, nella Lega dell’Arcangelo Michele, e in altri movimenti. C’è un elemento di comune rivoluzionarismo sociale che si accompagna a un elemento di nazionalismo che noi leggiamo ordinariamente come elemento di destra.

C’è anche una questione di rapporto col mondo cattolico. Non si può dire che il cattolicesimo abbia avuto un effetto moderatore sul fascismo?

Su questo tema bisogna guardare al caso del movimento di Dolfuss nella cattolica Austria. Aveva un carattere nazionalista, fortemente inquadrato in senso militare, caratterizzato da un’ideologia solidaristico-corporativa molto pronunciata. In buonissimi rapporti con la Chiesa austriaca e soprattuto protetto costantemente dal governo italiano: Dolfuss era un amico personale di Mussolini. Però viene ucciso nel ‘34 da un comando nazista e i suoi seguaci ottengono di costituire una specie di governo, che però regge solo fino all’Anschluss, nel marzo 1938. E l’Anschluss, l’unione fra Austria e Germania, è stata voluta da gran parte degli austriaci. I quali già dalla fine della prima guerra mondiale, dal 1919, dopo esser stati sconfitti auspicavano che l’Austria si unisse con la Germania. Alla fine l’unione viene compiuta da Hitler, ma Hitler eredita molto poco dell’austro-fascismo dei vecchi sostenitori di Dolfuss, che erano profondamente filofascisti, non filonazisti. Però Mussolini a quel punto prende a fare il gioco di Hilter, compiendo un voltafaccia di 180 gradi rispetto all’atteggiamento anti-hitleriano e filo-dolfussiano che aveva assunto nel ‘34, quando, dopo l’uccisione di Dolfuss aveva mandato niente meno che alcune divisioni corazzate al passo del Brennero a difesa dell’Austria.

Qual è stato il passaggio chiave per saldare il rapporto tra Mussolini e Hitler?

Poco dopo l’inizio del regime nazista in Germania, Hitler e Mussolini si incontrarono a Venezia, nel giugno del 1934. In quell’occasione Mussolini ebbe una pessima impressione di Hitler, tanto che l’anno successivo, nell’aprile 1935, nella conferenza di Stresa disse a Pierre Laval, il ministro degli Esteri francese, e a Ramsey Mac Donald, il Premier britannico, che Hitler era totalmente squilibrato. Ma loro non gli credettero, anzi obiettarono che Hitler aveva salvato la Germania dal comunismo. Mussolini insisteva sulla pericolosità, sulla nevrosi, sulla follia di Hitler che aveva potuto verificare per primo. Churchill alla fine si mostrò d’accordo. Solo che poi c’è stata la guerra d’Africa, le conseguenti sanzioni all’Italia e il suo isolamento sul piano internazionale…

Si può dire che sia successo qualcosa di abbastanza simile a quel che stiamo vedendo in questo momento con la Russia. Mussolini fu buttato tra le braccia di Hitler a seguito dell’atteggiamento ostile assunto dalle democrazie liberali. Così come oggi le democrazie liberali stanno muovendosi in modo tale che Putin non può che gettarsi tra le braccia della Repubblica Popolare Cinese. Mi sembra vi siano evidenti analogie. Bisognerebbe parlarne più approfonditamente, se si volesse fare un discorso serio sul fascismo – ma nessuno vuol fare un discorso serio sul fascismo, si fanno solo discorsi tendenziosi e utilitaristici per fini politici. Gli storici sono messi a tacere e in questa fase si sentono perlopiù gli opinion makers, gli influencer che sono, soprattuto in Italia e tranne rare eccezioni, piuttosto ignoranti.

Lei ha menzionato gli aspetti di “sinistra” del fascismo, Pensa che anche oggi ci sia qualche rischio di questo genere, cioè che movimenti di sinistra finiscano per veicolare istanze pericolose per il futuro dell’Europa?

Le istanze più pericolose per il futuro dell’Europa mi pare siano rappresentate da coloro che sono così atlantisti da ipotizzare che nel caso che alle elezioni del novembre 2024 vinca Trump e metta in atto la minaccia più volte da lui formulata di disinteressarsi alla NATO, sarà l’Europa a continuare la politica che le è stata imposta in questi anni recenti da oltre oceano. Trump ha sempre detto che la politica NATO di guardiano delle libertà nel mondo è portata avanti dai democratici statunitensi. Sono loro che tradizionalmente sognano un’America che nel resto del mondo si pone come baluardo di libertà, democrazia, e di ogni sorta di buona politica. Tutte cose che a Trump, che è un cinico, non interessano. Gli interessa che la NATO costa troppo, e punta a una politica nuova fondata semmai su rapporti bilaterali. Trump vuole scardinare l’organizzazione dicotomica del mondo che si sta creando oggi, e noi europei rischiamo di restare col cerino acceso in mano, a proteggere posizioni atlantiste dalle quali l’America di Trump si potrebbe sfilare, proprio come l’America di Biden s’è sfilata dall’Irak e dall’Afghanistan. Lasciando noi a tenere certe posizioni che loro ci avevano chiesto, se non addirittura ingiunto. Direi che è abbastanza divertente. Rischiamo di fare una politica atlantista senza l’altra parte dell’Atlantico.

Invece rispetto alla Cina lo stesso Trump sembra essere piutosto duro e aggressivo…

Be’, fino a un certo punto. Per il momento Trump sul piano internazionale ha assunto solo un atteggiamento netto e chiaro e si è schierato deciesamente al fianco di una sola potenza straniera: Israele. L’Israele di Netanyahu. Evidentemente sta giocando la carta che gli interessa per l’equilibrio delle forze all’interno agli Stati Uniti, dove probabilmente molti sono attratti dalla politica forte di Netanyahu: a prescindere dai risultati che questa ottiene, visto che sinora si sono dimostrati piuttosto disastrosi. Poi Trump è anche il portatore di ipotesi che si potrebbero pure palesare come straordinariamente innovative, non so bene se in senso positivo o negativo. Su questo è bene sospendere il giudizio. Vedremo che accadrà con lo “allargamento” dell’Atlantico, come direbbe Vittorio Emanuele Parsi che ama parlare dell’Atlantico come qualcosa che si allarga o si restringe secondo i casi. Per ora sembra che per l’Italia della presidente Meloni l’Atlantico si sia ridotto a un rigagnolo. E Fratelli d’Italia e il loro dinamico presidente continuano a professare un sentire “occidentale”. Non amano neppure parlare di un sentire comune europeo. Preferiscono credere che dire “occidentale” o dire “europeo” sia la stessa cosa. Personalmente non condivido questa politica tutta imperniata sulla grande potenza statunitense. Ma bisognerà vedere che cosa accadrà in futuro: potrebbe giovare, o non giovare, a seconda di quel che accadrà nel sistema politico internazionale all’indomani delle elezioni statunitensi. Certamente la signora Meloni si è molto compromessa con Biden, dopo essere stata in passato piuttosto “trumpiana”. Vedremo se, in caso di vittoria di Trump ci sarà uno strappo e se in questo caso si riuscirà a risarcire tale strappo. Ma si sa che gli italiani hanno la memoria corta e che sogliono riallinearsi presto col vincitore. Staremo a vedere…

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