I conti della guerra. Dopo l’attacco iraniano a Israele tornano di moda le armi laser?

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Il sistema britannico Dragonfire testato nel gennaio 2024 in Scozia. Foto di UK Ministry of Defence - https://www.gov.uk/government/news/advanced-future-military-laser-achieves-uk-first, OGL 3, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=144277746

Tra un miliardo e un miliardo e 350 milioni di dollari: questo il costo dei missili utilizzati per difendere Israele dall’attacco condotto dall’Iran nella notte tra il 13 e il 14 aprile 2024 con l’uso di droni e missili da crociera e balistici, secondo quanto riferito dal generale Ram Aminach, già consigliere finanziario dello stato maggiore israeliano, al quotidiano Yedioth Ahronoth. Senza contare la cifra relativa ai danni subiti dalla base militare israeliana di Nevatim, ch’è stata il principale obiettivo dell’attacco, e il costo dell’intervento degli aerei che hanno partecipato all’operazione difensiva. Com’è noto, l’Iran avrebbe lanciato circa 350 ordigni. Sempre secondo la stessa fonte, il costo di un missile Arrow, usato per intercettare gli attaccanti, sarebbe di 3,5 milioni di dollari, mentre il costo di un missile iraniano Magic Wand sarebbe di circa un milione di dollari.

A parte il fatto che è ben difficile comparare i costi relativi in economie di struttura così differente quali quella iraniana e quelle occidentali, risulta evidente che la spesa per la difesa è notevolmente superiore a quella per l’offesa. Nel caso di cui sopra, in via spannometrica si può dire che la difesa costa tra le tre e le quattro volte il costo dell’attacco. Nel sistema missilistico più diffuso, il Patriot, ogni ordigno costa tra i 3 e i 4 milioni di dollari. Per contro il costo di un missile balistico del tipo di quelli usati dall’Iran, secondo quanto riferito dal Guardian il 14 aprile, si aggira attorno agli 80 mila dollari.

Comunque, tralasciando conteggi la cui precisione lascia sempre il tempo che trova, è intuitivo che un missile pensato per intercettarne un altro richiede di essere dotato di sistemi ben più sofisticati dell’oggetto che deve colpire: di una punteria estremamente più precisa e di una velocità maggiore, altrimenti è destinato a fallire. La difesa praticata con strumenti simili a quelli usati per l’attacco ha un costo maggiore di questo.

Il sito web Missile Defence Advocacy Alliance presenta uno specchietto dei costi dei singoli missili usati nei vari sistemi di difesa antimissile, da cui risulta che il più caro è il Next Generation Interceptor (111 milioni di dollari) inteso a contrastare missili balistici intercontinentali (Icbm) come quelli più recenti di cui dispone la Corea del Nord; il sistema Arrow 3, anch’esso usato per intercettare Icbm, ha un costo unitario di 62 milioni di dollari. Per contro il costo di un Icbm russo come quello del sistema R-36 è stimato in 7 milioni di dollari e un Icbm lanciato da un sommergibile come quello chiamato RSM 56 Bulava nel 2011 era valutato in 32 milioni di dollari.

Ancora, le cifre sono vaghe, i paragoni ardui. Ma rendono l’idea.

Il sistema israeliano

La cifra più bassa tra i sistemi di difesa attuali indicata nel sito Missile Defence Advocacy Alliance è quella dello Iron Beam, un sistema a energia diretta, anti drone e anti missile, testato da Israele nell’aprile 2022 che secondo il ministro della Difesa israeliano Naftali Bennet comporta un costo di 3,5 dollari per ogni colpo sparato.

Il sistema Iron Beam israeliano. Foto US Embassy Jerusalem-wikimedia.org

In realtà già da una decina di anni nel Golfo persico-arabo la marina militare statunitense ha a disposizione sistemi laser in funzione difensiva. Non c’è nulla di più veloce di un fascio di energia diretta. Questo costituisce l’arma ideale poiché il costo di un singolo impulso è infinitamente più basso del costo dell’ordigno che può contrastare danneggiandolo.

Si tratta di uno strumento prettamente difensivo: per quanto qualsiasi strumento possa sempre essere usato nelle due funzioni, aggressiva e difensiva, altro è quanto comporta un’esplosione che è sempre distruttiva, altro è l’irraggiamento puntuale e limitato a un’area minima e circoscritta. Una qualsiasi testata esplosiva può distruggere zone molto ampie di una città (per non dire degli effetti a lungo termine causati da un’esplosione nucleare), un raggio laser può danneggiare e rendere inefficace un drone o un missile, può distruggere un satellite orbitante, ma se puntato dall’alto su una città può fare ben pochi danni.

Si parla di laser in funzione militare da decenni. Un’obiezione che è stata mossa all’ipotesi del loro sviluppo in funzione anti Icbm al tempo della presidenza statunitense di Ronald Reagan (che lanciò la Strategic Defense Initiative, per la prima volta intesa a scalfire l’equilibrio del terrore della Mutual assured destruction – MAD), è che se gli USA se ne fossero dotati in quegli anni, in piena guerra fredda, avrebbero potuto abbandonare quella che per loro era la difesa avanzata in territorio europeo.

La remora del complesso militare industriale

Ma è questo il motivo per il quale tale tecnologia non è stata sviluppata rapidamente e completamente in funzione anti Icbm? Un problema è che le apparecchiature per emettere raggi laser di potenza adeguata sono molto grandi, ma certamente la ricerca può giungere a produrre strumentazioni più versatili. Il sospetto è che tali sistemi non siano ancora stati sviluppati in modo efficace e diffuso perché le aziende che se ne occupano sono le stesse che producono i ben più costosi missili (aziende come Lockheed Martin o Northop Grunman) e per loro sarebbe un pessimo affare dover mettere in soffitta gli enormi introiti che derivano dalla continua produzione e dall’aggiornamento dei sistemi missilistici. Infatti sin dall’epoca di Reagan la linea di ricerca antimissilistica laser fu presto messa in secondo piano, se non proprio abbandonata, per privilegiare lo sviluppo di missili antimissile. Fu una scelta politica dettata da interessi privati: la presidenza Reagan segnò anche il trionfo degli iperliberisti Chicago Boys.

Oggi il fatto che Israele abbia compiuto importanti passi avanti su questo terreno di ricerca forse potrebbe cambiare un po’ le cose. Ma soprattutto le potrà cambiare la Cina. Questa nel 2023 ha annunciato di aver sviluppato un sistema di raffreddamento che consentirebbe alle apparecchiature laser di emettere ripetutamente impulsi senza surriscaldarsi (v. South China Morning Post, 11 agosto 2023). Il suo impegno di ricerca è motivato soprattutto dal desiderio di superare la concorrenza statunitense: e questo è qualcosa che nessun altro Paese è oggi in grado di fare, visto che dalla Russia è difficile aspettarsi qualcosa di concreto al di là della mera propaganda.

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