di Corrado Gavinelli
“Sarà anche mite, ma di certo la colomba è uccello temerario, che sfida l’ignoto” Ernst Hans Josef Gombrich (in Psicoanalisi e Storia dell’Arte, 1954)
L’alata figura pasquale secondo l’interpretazione artistica picassiana
Il grande artista spagnolo Pablo Picasso, uno dei più illustri esponenti della cultura estetica del Novecento, è stato tra i non molti interpreti dell’arte – soprattutto moderna – che si sono riferiti alla figura biblica della colomba quale emblema della pace, nel suo carattere religioso ed in versione laica.
Ma la considerazione picassiana di questo uccello storico è soltanto parzialmete riferita alla sua corrispondenza religiosa, e della Bibbia come ci proviene dall’episodio del Diluvio Universale, ed è invece stata trasferita al suo significato sociale di riferimento moderno nei confronti della situazione post-bellica seguìta al secondo conflitto mondiale: particolarmente rivolta – per lui – alla ideologia socialistica del Partito Comunista, cui l’artista aderì nel 1944; e che successivamente (un quindicennio dopo) traslò ad un significato più universale di pacificazione internazionale nella incerta circostanza politica della Guerra Fredda, per una agognata collaborazione universale tra i popoli.
E con questo ultimo, generale e non specificamente ideologico, senso di adesione al sentimento di armonia internazionale verso tutta la umanità mondiale, la sua Colomba della Pace è diventata il simbolo globale della pacificità, in particolare anche nella ricorrenza cultuale della Pasqua cristiana.
È soprattutto il disegno a pastello azzurrognolo (e per questo indicato come La Colomba Blu) da Picasso realizzato nel 1961 per il Manifesto del Congresso Nazionale del Movimento per la Pace tenuto l’anno dopo in Francia a Issy-Les-Moulineaux, che venne a rappresentare espressamente l’emblema pacifico universale, in quanto rimarcato sull’aspetto dell’uccello biblico di Noè con un rametto verde di olivo nel becco, significante la ripresa possibile dal disastro distruttivo del Diluvio terrestre, insieme al senso simbolico della riappacificazione (alleanza) di Dio con il popolo peccatore da lui tremendamente castigato[Figure 1 e 2].
Le varie colombe picassiane
Nell’insieme dei diversi e numerosi disegni e dipinti riguardanti le colombe che Picasso ha eseguito nel corso della sua intensa carriera artistica, questo esemplare blu appartiene ormai alla storia della rappresentazione artistica quale elemento anche indipendente dal proprio diretto significato iconico; perché all’epoca quella immagine non proveniva dalla adesione militantemente comunistica variamente diffusa nell’immediato secondo dopoguerra, ma era più specificamente rapportata agli autonomi movimenti della pace a carattere universale (in particolare quello inglese del filosofo-matematico pacifista Bertrand Russell) che negli Anni Cinquanta del Novecento avevano iniziato una grande campagna di sensibilizzazione contro ogni guerra (soprattutto per la minaccia nucleare), utilizzando informalmente la famosa bandiera con i colori dell’arcobaleno (poi adottata più ampiamente – nel 1961 – anche dall’italiano Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento), nella quale poi venne inserita dall’ONU, sulle strisce policrome di fondo, una schematica (e per la verità non molto bene eseguita, formalmente) Colomba di Picasso, per la formulazione del proprio stendardo pacifista ufficiale[Figure 3 e 4].
Inoltre, la figura più internazionalmente impegnata dell’uccello della pace che l’artista iberico, trasferitosi in Francia dall’inizio del Novecento (nel 1904), produsse quale emblema esplicito di pacificità col 1949, era per altro un semplice volatile senza riferimenti storici e religiosi, e soprattutto privo di quel segno dichiaratamente biblico del rametto di olivo nel becco, e disegnato invece – come meglio analizzerò tra poco – con un aspetto realistico oggettivo, nonché con un piglio fisionomico perfino fiero e combattivo, come era nella intima natura di quel volatile all’apparenza docile e innocuo.
Le colombe artistiche
Similmente al collega francese Henry Matisse, Picasso aveva un particolare interesse verso quegli uccelli addomesticati e famigliari, che ritrasse per anni in varie circostanze e con differenti intenti semantico-espressivi (prediligendoli dalla propria infanzia, quando aiutava il padre José Ruiz y Blasco anche egli pittore, a dipingerli nelle sue tele da modelli imbalsamati, e giungendo addirittura a richiedere l’invio di esemplari vivi a chiunche volesse farlo pubblicando un annuncio in un giornaletto per bambini spagnolo).
Della docile e normale dedizione dei due pitttori (francese e spagnolo) nei confronti di piccioni e colombi, si posseggono due immagini significative: quella del fotografo francese René Burri, che nel 1957 ritrae l’artista ispanico accanto ad una tipica gabbia per volatili con una colomba dentro (Picasso nella Villa La California a Cannes), e l’altra scattata dal collega e connazionale Henry Cartier-Bresson, che riprende il vegliardo pittore di Saint-Paul-de-Vence nel 1944 all’interno della propria Casa-Studio provenzale, attorniato da diverse uccelliere con altrettante colombe [Figure 5 e 6].
Ma, singolarmente, esiste anche una più significativa, e piuttosto curiosa, fotografia di Picasso, scattata dall’inglese James Lord a Parigi nel 1945, che lo raffigura stranamente con una colomba appoggiata, ferma, sulla testa, in un aspetto quasi simile al volatile da Pablo dipinto nel 1942, eretto ed altero come l’espressione dello stesso suo autore che lo ha dipinto [Figure 7 e 8]
in una impostazione iconica alquanto differente dalla più casalinga immagine che invece si ha di Matisse rappresentato, un biennio dopo, nelle istantanee cartier-bressoniane mentre disegna i propri uccelli tenendoli in una mano [Figura 9].
Del riferimento picassiano a piccioni e colombe il grande psicololo austro-inglese Ernst Hans Josef Gombrich ha tentato, nel 1954, e nel saggio su Psicoanalisi e Storia dell’Arte, una propria interpretazione, senza tuttavia fare emergere particolari situazioni nascoste o rimosse nei confronti di quei volatili e nella loro condizione formale o pacifistica. Ma sta di fatto, però, che mentre prima quegli uccelli da Picasso erano considerati come elementi di una specifica, per quanto particolare (come ad esempio nel caso della Bambina che Stringe al Petto una Colomba, dipinta nel 1901 in pieno, e iniziale per l’artista – che aveva soltanto 19 anni – Periodo Blu) strumentalità fisica (per quanto affettiva) di rappresentazione professionale, in sèguito quei colombi divennero espliciti, o anche espressivamente reconditi, oggetti di significatività simbolica e universale, rivolti ad un pacifismo mondiale [Figura 10].
Dopo quel quadro giovanile, Picasso disegnò volatili occasionalmente, ed in particolare in una serie di schizzi dinamicamente segnici di Uccelli in Volo, schematizzati e lineari, eseguiti nel 1945 [Figura 11].
E però, anni prima (come di recente, nel 2019, ha evidenziato lo storico e critico dell’arte italiano Dario Mastromattei in una sua analisi del rinomato dipinto Guernica, da Pablo realizzato nel 1937), l’artista spagnolo ha rappresentato un esemplare di colomba del tutto particolare, impazzita per lo spavento della situazione in cui si era venuta a trovare : e lo ha dipinto proprio nel famosissimo capolavoro di condanna del bombardamento nefando attuato dai Tedeschi sulla cittadina iberico-basca, avvenuto quell’anno stesso ad aprile; ma eseguendolo in una immagine quasi impercettibile, sullo sfondo scuro del quadro, in alto a sinistra tra il Toro ed il Cavallo, quasi a significare la sua fisica eliminazione, e scomparsa, da quel contenuto di pace che l’episodio del quadro, in opposizione ideale, rappresentava [Figura 12 13].
Le Colombe della Pace di Picasso
Comincia quindi, espressamente, nel 1949 l’autentico impegno produttivo, nella vasta opera picassiana, dedicato alle numerose sue raffigurazioni esplicitamente riferite alla pace: e precisamente con una incisione (che lo stampatore preferito allora dall’artista, Fernand Mourlot di Parigi, ha considerato – in una sua catalogazione del 1970 – “una delle più belle litografie mai eseguite”, le cui “tonalità morbide […] sono di una eccellenza notevole”, e “raggiungono il massimo che si possa ottenere dalla tecnica del disegno a calco”) raffigurante una colomba di profilo, con le penne un poco arruffate, e fremente nel corpo; che quello stesso anno gli venne richiesta come effigie rappresentativa del manifesto per il Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace da tenersi a Parigi in aprile [Figure 14 e 15].
Una colomba della pace però – proprio perché, come ho accennato all’inizio, commissionata e sostenuta da una ideologia di concezione comunista – raffigurata non nella immagine tradizionale di uccello a significato biblico-religioso, bensì nel suo oggettivo aspetto realistico e naturale, senza il tipico ramo di ulivo che normalmente contrassegnava questo uccello quale emblema di riconciliazione tra i popoli tramite la intercessione divina.
Tale genere di rappresentazione veristica, che nel momento della sua concezione ed attuazione non prevedeva però una destinazione politico-ideologica (perché era stata attuata per una raccolta di litografie stampate in album dalla importante gallerista di Parigi, ed editrice artistica, Louise Leiris, insieme ad altri esemplari comprendenti 5 artisti, con le loro prove esecutive e 50 copie firmate e numerate; ed infatti l’opera picassiana era stata semplicemente intitolata Il Piccione), proveniva da una analoga serie simile di volatili artisticamente indipendenti: comprendente un Colombo, disegnato appena precedentemente ma coevo, più minuscolo e contenuto nella forma (e per questo indicato poi come la Piccola Colomba, in opposizione all’altro piccione più adulto, che è stato quindi chiamato la Grande Colomba), ed una differente, per quanto simile, versione di quel soggetto (Colomba su uno Strato di Paglia), che risulta figurativamente intermedia agli altri due, ed è stata utilizzata prevalentemente quale soggetto per raffigurazioni seriali di produzione ceramica [Figure 16 e 17].
E per la cronaca, l’animale colombaceo consegnato per divenire l’effigie universale della pace, divenne il nome spagnolo dato dall’artista alla figlia (Paloma), che nacque proprio il giorno prima della apertura del convegno!
L’anno successivo (1950), Picasso, ormai celebrato interprete illustrativo del pacifismo, fu invitato a disegnare anche il manifesto del Secondo Congresso per i Difensori della Pace, per il quale consegnò una Colomba in Volo planante sopra un generico paesaggio montano; che in quel suo percorso sorvolante il mondo poteva ricordare, e sottintendere in una analoga comparazione di senso altrimenti politico, la famosa frase forgiata da Carlo Marx un secolo prima, nel 1948, per annunciare la diffusione internazionale del Partito Comunista appena da lui creato: “Uno spettro si aggira sulla Europa: è lo Spirito del Comunismo” [Figure 18 e 19].
Nel frattempo però Pablo comincia a rivolgere la propria attenzione pacifistica nuovamente alla più specifica espressione dell’arte, producendo – a Dicembre del 1950 – una serie di stravaganti opere figurativamente ibride che ritraggono il volto di una giovane donna dai lineamenti dolci, indissolubilmente congiunto con il corpo e le ali di una colomba.
Sono disegni, acquerelli, o piatti ceramici, che riprendono una tematica iconica arcaica riferito al totem antropologico-storico (di cui tratterò specificamente alla fine di questo testo, nella sua Appendice) riferiti alla modella e moglie di Picasso, Françoise Gilot, di 40 anni più giovane del marito ormai settantenne (cui diede i figli Claudio e Paloma), che realizzò negli anni finali della sua relazione con la donna (questa volta durata abbastanza a lungo rispetto alle altre spose econviventi), conclusa proprio quando l’artista finisce il suo capolavoro pacifista per eccellenza, esteticamente autonomo da ogni altra interferenza partitico-politica, nei grandiosi pannelli dipinti, montati sulle pareti e sul soffitto della cappella sconsacrata nel Castello a Vallauris (la serena località vacanziera sulla Costa Azzurra presso Cannes dove l’artista spagnolo si recava per plasmare le proprie ceramiche) messagli a disposizione dal sindaco del luogo proprio dal 1950 stesso [Figure 20 e 21-23; e 24-25].
Francesca è ritratta in varie versioni metamorfico-simbiotiche, che procedono – nei disegni più significativi di sviluppo tematico – dall’accostamento totemico con l’uccello [Figura 21] alla loro sintesi integrata con esso [Figura 22] fino alla completa commistione dei due esseri [Figura 23] – in una definitiva intersezione unita che Pablo riproporrà, analoga ma con un diversivo ottico da trompe-l’oeuil di figura-fondo ripresa dai criteri di valutazione percettiva delle schede di indagine visiva della Psicologia della Gestalt, nella immagine raffigurata sullo scudo del Difensore della Pace nel suddetto Pannello della Guerra vallaurisiano compiuto tra il 1952 ed 1953 [Figura 24 e 25]: dove il volto pieno della donna si staglia flebile sotto una colomba protettiva con le ali aperte, viceversamente riconoscibile nella sua entità fisionomica quando si presta totale attenzione alla sua faccia nascosta facendola emergere da sotto il volatile.
In questo viso gilotiano il pittore ha voluto rappresentare il volto della pace, come anche per gli altri disegni che lo precedono e le loro varie titolazioni riportano.
Ma forse Picasso – almeno io ritengo così (come anche ho accennato nel mio testo del 2010 sui Luoghi della Pace, la cui copertina per altro riporta proprio la figura in questione del volto-colomba sullo scudo del Difensore) – nella indicazione in francese Face de Paix non intendeva attestare una effettiva Faccia della Pace, bensì solamente presentare un più ridotto, ed umano, Volto di Pace (come proviene dalla letterale traduzione delle parole francesi da lui impiegate) [Figura 26].
Dopo la conclusione dei dipinti per La Guerra e la Pace a Vallauris, e per la separazione dalla Gilot avvenuta proprio nel 1953, Picasso non riprende più la raffigurazione combinata di volto umano e colomba; se non molto più tardi, nel 1961, ma con un significato assai diverso, per una differente situazione: la speciale commemorazione della persona, divenuta mitica per la sua strabiliante impresa, dell’austronauta russo-sovietico Juri Gagarin, che quell’anno era diventato “il primo uomo a volare nello spazio” compiendo una intera orbita intorno alla Terra (e così immortalato dall’artista per essere stato anche un portatore di pace al di fuori dei confini fisici del mondo, e nell’universo!) [Figura 27].
Pablo si è quindi ripiegato, di nuovo, negli Anni Cinquanta del Novecento, sulla sola colomba quale emblema simbolico della pacificazione, passando comunque – ancòra – da ulteriori fasi di evoluzione figurativa.
In questo suo costante riferimento da lui stesso indicato, nel 1950, “per la pace contro la guerra”, l’artista spagnolo vedeva una configurazione della espressione più generale che contrapponeva “la vita contro la morte”, come aveva egli stesso ebbe a dichiarare nel suo intervento al Congresso Pacifista di Sheffield di quell’anno, dove era stato invitato anche a parlare.
E seguendo questo senso di conciliazione nel suo contenuto di vitalità, Picasso condusse poi le sue rimanenti espressioni artistiche riguardanti la pace, culminanti sempre nel solo uso determinante della colomba, fino agli Anni Sessanta susseguenti.
Tale percorso inizia, ovvero procede, sempre nel 1951 con lo speciale Fazzoletto-Sciarpa creato da Pablo per il Festival Mondiale dei Giovani e degli Studenti per la Pace svoltosi a Berlino ad agosto, e durante il quale i partecipanti – e chi altri volesse – poteva indossare quel significativo stendardo in coloratissimo cotone stampato, da mettersi al collo o agitare per le strade, raffigurante ancòra un assiemaggio di volti e colomba, ma in posizioni distinte e ruoli di rappresentazione differenziati (le facce dei giovani alle quattro parti della terra, e l’uccello di pace – con rametto di olivo nel becco – al centro) [Figura 28].
Invece l’anno dopo, nel 1952, sempre per una altra circostanza pacifista (e questa volta di una certa importanza globale perché coinvolgeva la situazione mondiale del riassetto delle nazioni in conseguenza al nuovo orientamento strategico proposto da Stalin per la coesistenza non belligerante), il Congresso dei Popoli per la Pace da tenersi in Austria a Vienna, Picasso è richiesto nuovamente di fornire la immagine del manifesto ufficiale del convegno; che egli presenta in un bozzetto semplice di una realistica Colomba (posta davanti all’Arcobaleno), senza olivo, nell’atto di librarsi ferma, per opporsi (non aggressivamente) alla avanzata della possibile guerra [Figure 29 e 30].
Ma per la particolarità internazionale dell’evento, egli propone anche le altre due sue effigi pacifiste del volto-colomba e dello stendardo della gioventù, che vengono accettate da utilizzare per gli avvisi complementari [Figure 31 e 32].
È però decisamente il primo di questi tre elaborati a diventare maggiormente sintomatico e, anche esso, universale: tanto che perfino la nuova grande potenza mondiale della Cina Popolare di Mao Zedong, notoriamente diffidente verso la cosiddetta arte decadente occidentale, ne riprende la figura per riprodurla su una serie di francobolli nazionali emessi l’anno successivo, nel 1953, in una terna di versioni con valori monetari e colori tonali variamente diversificati [Figura 33].
Una ulteriore, e simile (ma più aggressiva e decisa) Colomba in Volo con Arcobaleno viene quindi autonomamente (senza riferimenti a particolari eventi socio-politici locali o mondiali) disegnata ancòra nel 1952, ed appare però – 8 anni più tardi – nel manifesto del Vertice del Congresso per il Disarmo, avvenuto a Parigi nel Maggio del 1960 [Figure 34 e 35].
Questa fiura colombacea è in pratica l’ultimo esemplare usato da Picasso nel similare repertorio con l’uccello della pace senza rametto di ulivo. Perché nelle ultime versioni successive, dal 1961, la Colomba della Pace riappare nella immagine mitica della tradizione biblica, volando in un cielo indifferenziato mentre porta nel becco il rametto olivetico, e soprattutto tratteggiata con lineare scioltezza grafica, leggera e indicativa nei tratti essenziali della propria corporeità stilizzata (di cui la cosiddetta Colomba Blu, abbiamo visto, è l’elemento divenuto più significativo e anche popolarmente diffuso) [Figura 1].
Le Colombe della Pace picassiane di iconologia biblica
Tuttavia, quella immagine bluastra del 1961 di estrema fama simbolica, appartiene anche essa ad una sequenza di vari elaborati grafici analoghi, sebbene leggermente differenti, tutti eseguiti in quella medesima annata, che posseggono una loro interessante storia propositivo-esecutiva: a partire dallo Schizzo di Colomba della Pace tracciato su un cartoncino ruvido e sormontato da una grande firma dell’autore, delineata come una estesa nuvola calligrafica [Figura 36], costituente il prototipo disegnativo per tutte le successive versioni del genere, in quella tipica sua connotazione iconografica alquanto distinguibilee per essere stata attuata con veloce e diretta disegnatività continua, in una sorta di segno gestuale mnemonicamente automatico, ripetuto ed appena cambiato di forma.
Da quella gestualità istantanea vengono anche le effigi disegnate per le più diversificate contingenze occasionali, come è avvenuto nella dedica fatta a Joë Nordmann (avvocato e uomo politico francese, partigiano e membro del Partito Comunista di Francia) sulla copertina della rivista parigina di arte e letteratura Verve del 1954 (contenente una grandiosa serie di 180 disegni dell’artista iberico, principalmente improntati sulla tematica del pittore con la sua modella) [Figura 37];
oppure derivano altre rappresentazioni specifiche di elaborazione tipicamente pacifistica, quali risultano la altrettanto nota Colomba della Pace discendente [Figura 38] e la oppositiva sua versione mentre il volatile riprende quota [Figura 39].
Tutti elaborati grafici similari di cui si può considerare l’esemplare caratterizzante di conclusione, la diversa immagine dell’atterraggio, su una catasta di armi da guerra rovinate e distrutte, della Colomba con Sole del 1962 [Figura 40].
E’ con tale immagine, del volatile pacifico al cui arcobaleno si è sostituito l’astro solare, che si può finalmente considerare terminata la folta vicenda disegnativa della Colomba della Pace picassiana; che poi ha ricevuto non molte altre versioni simili o analoghe. Se non in una altra raffigurazione soltanto, e alquanto differente.
La Colomba dei Fiori
Si tratta del disegno di un uccello colombaceo come gli altri precedenti, analogo nel segno ma del tutto diverso nel contesto, che al posto del caratteristico rametto di olivo (che è stato in questa occasione trasferito alle zampe) porta nel becco, e impigliata nelle ali, una abbondante serie di fiori multicolori: una sorta di arcobaleno sgretolato nei suoi elementi coloristici, e diffusivamente ricomposto in numerosi petali cromatizzati, altrettanto inneggianti alla Pace; ma, differentemente, in una composizione rivolta non più alla ansiosa distensione per il timore post-bellico, bensì riferita ad un augurio in divenire, gioioso e libero, piena di speranza per le genrazioni future viventi nella armonia del creato [Figura 41]; e quasi preveggente i futuri movimenti pacifisti, come poi sarà infatti nel Sessantotto, i cui cosiddetti Figli dei Fiori impiegheranno abbondantemente gli elementi floreali quali emblemi usuali di loro riconoscimento comportamentale, e pacifista.
La pacifica Colomba dei Fiori, nella sua singolarità tipologica ed espressiva, diviene così, nel versatile repertorio espressivo dell’artista spagnolo, ma anche per altre categorie di persone, un aspetto originale della rinnovata iconografia di Picasso, che ritrova nell’insieme floreale della natura un altro gioioso emblema della pacificazione universale: da lui comunque già esteso, con il 1958, ad altre estranee immagini di pacificità, in opere con soli mazzi di fiori autonomi (stretti tra le mani di un offerente – ignoto, e dunque universale – e donati ad un altrettanto invisibile destinatario esterno che li prende) ugualmente portatori di un messaggio di relazione amichevole ed affettuosa con il prossimo, in una modalità più personale di intima correlazione tra individui (Mazzo di Fiori con Mani) [Figura 42].
In conclusione a questa lunga ma importante sequenza di analisi iconologica sulle colombe picassiane, è in particolare sulla singolare effigie colombacea pasqual-pacifistica cui mi sono voluto specialmente rivolgere, e soffermare, nella attuale contingenza sanitaria che accomuna tutto il mondo nella difesa da un nemico altrettanto bellicoso ed in una guerra virale pandemica, che la diffusione del Corona Virus ultimamente ha mandato ovunque. Per la contingenza della quale l’elemento del fiore è divenuto per me (come è stato pubblicato su ‘Frontiere’ del 3 Aprile scorso) l’emblema della felice ripresa dall’attacco invisibile del morbo infestante ed assassino [Figura 43].
E la stravagante Colomba dei Fiori picassiana verso questo contagio comporta la figura che più idoneamente si presta a confermare la nostra (mia e di mia moglie Mirella Loik, con cui abbiamo aperto una specifica campagna di solidarietà contro la pandemia tramite nostre modeste iniziative, che ‘Frontiere’ però ha voluto ingegnosamente allargare a qualunque persona o ente volesse aggregarsi a parteciparvi) azione di opposizione artistica al Corona Virus, e per la quale la immagine floreale della colomba pacifisctico-pasquale risulterebbe il Terzo Atto di definizione, nel suo aspetto più simbolicamente attinente alla emblematicità ilustrata da Picasso, risolta in una sua forma diversificatamente fiorita.
APPENDICE
La curiosa immagine di Pablo con una colomba sul capo
apre ad una conseguenza di considerazioni iconologiche dallo inaspettato collegamento figurativo, che però appartiene – derivandovi per vari percorsi epocal-contenutistici – ad un antropicamente comune e antico fenomeno iconografico di impensabile consistenza storica: si tratta del problema totemico dell’identità nominale e rappresentativa della riconoscibilità individuale, traslata alla immagine tipica di una ancestrale provenienza di misticità religiosa e di significati telogico-cultuali, di cui adesso porgo una estrema sintesi, ma che tratterò nella sua più ampia specificicità in un altro saggio, che sto preparando per questa Rivista.
Il Totem Bestiario, e le Ali dello Spirito
Innanzitutto, non può sfuggire la incredibile, e divertente, coincidenza (quasi identità) della foto di Picasso del 1945 con quella del Papa Wojtyla scattata nel 2005 durante la rituale liberazione di colombe a Roma in Piazza San Pietro! [Figure 44 e 45] Queste rappresentazioni divergenti, collegate soltanto da un uccello simile, propongono tuttavia una connessione iconologica inequivocabile: quello del Totem e dello Spirito, rispettivamente riferiti alla individualità di una persona comune ed alla sacralità di un sacerdote. In una iconografia storica che unisce molte effigi del Medioevo religioso, e retrocede nella secolarità delle epoche storiche, provenendo dalla più lontana esistenza dell’Uomo nella Preistoria.
Ma neppure può venire trascurato l’aspetto totemico rinvenibile nei disegni picassiani che raffigurano la simbiotica fusione figurativa della colomba con il volto della moglie Françoise Gilot in un solidale assemblaggio pressocchè indissoluto, che rimanda specifamente al contenuto delle raffigurazioni di totem più antiche, per cui una persona veniva riconosciuta o rappresentata da un suo emblema oggettivo, portato, o artificialmente applicato, sulla propria testa, corrispondente alla entità impalpabile – perche generazionale e famigliare – di uno spirito ancestrale [v. supra, Figure 21-23, e 25].
Questa speciale condizione formal-figurativa è pervenuta intatta nelle abitudini denominative dei cosiddetti Indiani d’America, i più rinomati Pellirosse della epopea statunitense della occupazione delle terre dell’Ovest, le cui vicende tipiche sono perdurate pressocchè uguali fino a tutto l’Ottocento e tramandate nella numerosa iconografia dell’epoca, e successiva; per la quale (tanto per portare un generico esempio, ripreso da una eccellente illustrazione del disegnatore Gary Ampel di New York, grandioso interprete grafico della vita selvaggia dei nativi nord-americani) il nome Giovane Falco era effettivamente la corrispondente identità di una persona che aveva quell’animale come genio antenato protettore, rappresentato in forma simbolica da un animale (nel caso un uccello) referenziale [Figura 46].
Si tratta di una tradizione atavica che anche nelle terre centrali del continente americano, la Mesoamerica pre-colombiana, è stata testimoniata resistente, e rimasta costante, fino alla distruzione delle antiche popolazioni indigene da parte dei Conquistatori europei nel Cinque-Seicento [Figura 47].
Ma in maniera ancòra più sorprendente non può restare inosservata la incredibile somiglianza tra l’effigie del pellerossa ampeliano, appartenente al diciannovesimo secolo, e la testa di diorite del Faraone Zoser, protetto dal Falco celeste emblema del Dio Horo, scolpita da un anonimo artista egizio tra il 2543 ed il 2537 prima di Cristo: entrambe connesse da una singolare corrispondenza iconologica con il disegno di Picasso del 1950 raffigurante la sua immagine di Francesca-Colomba! [Figure 46, 48, e 21-22]
A loro modo, tutte e tre queste effigi riferiscono una sottostante componente totemica: nei primi due casi in maniera piuttosto esplicita, mentre nell’ultimo in una condizione ambigua, innaturale, che però sottintende un problema particolare ed importante, allora, dell’artista con la propria moglie-modella; perché tra loro erano iniziati alcuni screzi esistenziali, e per la cui entità avevano condotto subconsciamente Picasso a vedere la propria compagna, che stava per perdere, come la traslata rappresentazione della pace perduta!
La ancestrale figurazione del rapporto assistenziale o benedicente di un uccello totemico verso un personaggio soprattutto illustre, e particolarmente divinizzato, si ripercuote nella iconografia religiosa cristiano-cattolica da tutto il Medioevo fino oltre al Seicento, in varie immagini di Re o Santi, protetti collateralmente oppure direttamente ispirati da una Colomba emblematizzante lo Spirito Santo [Figure 49-50, e 51].
Si tratta di un un assemblaggio sospeso tra creature fisiche ed entità divine, non interferente o coincidente materialmente, la cui unione avverrà invece nella concezione spirituale della teologia del grande profeta persiano antico che i Greci chiamavano Zoroastro ma che altrimenti (e dallo stesso suo ammiratore moderno, il famoso scrittore e filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche) era conosciuto come Zarathuštra, per il quale la effigie spiritual-divina del Faravahar quale ente superiore della sua religione, era configurata nell’Uomo Alato trascendente: figura umana con le Ali dello Spirito, che nella sua impersonificazione terrena del sacerdote offerente o sacrificante, altro non era che un prete persiano in veste animal-totemica, dotato di grandi ali semoventi applicate sulle spalle! [Figure 52 e 53]
Una prodigiosa raffigurazione che in altra veste e significato, è presente in ulerorii costumi social-rituali della storia, nei quali gli uomini si ricoprivano delle pelli delle bestie cacciate per assumerne il potere energetico-spirituale (una prassi di questo genere è testimoniata, non soltanto archeologicamente ma nelle trascrizioni degli osservatori europei, nelle usanze dei Guerrieri-Animali aztechi della antica America, precolombiana e prima della Conquista spagnola) [Figura 54]: la cui pratica sacrale risale alla prima immagine finora scoperta del famoso Sciamano della Grotta della Ariège, che curiosamente ci osserva da 15.000 anni sulle rocce cavernicole francesi della Occitania nei Pirenei Orientali, dipinto dai nostri antenati preistori dell’ultimo Paleolitico Superiore, all’alba della nascita della capacità artistica e della abilità manufatturiera [Figura 55].
Corrado Gavinelli
Torre Pellice, Aprile 2020
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