di Galliano Maria Speri Il 5 giugno 2017, due settimane dopo la visita del presidente Trump in Arabia Saudita (occasione nella quale gli USA hanno concluso l’accordo per la vendita ai Sauditi di 110 miliardi di dollari di armi, il maggiore contratto di vendita di armi americane nel mondo), Riad ha rotto le relazioni diplomatiche col Qatar, subito imitata da Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Yemen, che hanno anche bloccato i confini, i rifornimenti alimentari e lo spazio aereo del piccolo emirato. L’accusa è di finanziare il terrorismo internazionale. Ma il vero obiettivo saudita è di colpire gli interessi iraniani. [caption id="attachment_8689" align="alignright" width="300"] 150 elicotteri Black Hawk fan parte del pacchetto di armi vendute dagli USA ai Sauditi per effetto degli accordi siglati dal Presidente Trump[/caption]

La maggior parte dei media internazionali ha riportato la notizia, che aumenta le tensioni in un’area già caldissima, perlopiù in modo neutro, senza sottolineare che l’accusa è stata lanciata dal paese che ci ha regalato Osama bin Laden e ben quindici dei diciannove dirottatori dell’11 settembre. Un paese che promuove una versione fanatica e oscurantista dell’Islam, indistinguibile da quella professata dal Califfato islamico. Anwar Gargash, ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, ha lanciato un attacco durissimo dicendo che la coalizione guidata dai sauditi non vuole un cambio di regime ma “convincere il Qatar a cambiare la propria linea politica”, accusando il paese di essere il “principale sostenitore dell’estremismo e del terrorismo nella regione”. Il Qatar ha negato nel modo più assoluto le accuse, definite “senza fondamento”.

Lo scontro tra i sauditi e il Qatar sembra essere arrivato a una nuova fase, perché Riad si trova invischiato sempre più in una crisi dalla quale non riesce ad uscire. L’intervento russo in Siria, in alleanza con l’Iran, ha mantenuto al potere Bashar Al Assad e ha indebolito gravemente tutti i gruppi radicali sunniti finanziati dai sauditi, aprendo anche la porta alla sconfitta dell’Isis. La guerra in Yemen della coalizione a guida saudita si sta rivelando una catastrofe sia da un punto di vista militare che umanitario.

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[caption id="attachment_8688" align="aligncenter" width="2000"] Aprile 2015: si scavano le fosse per seppellire le vittime di un attacco aereo lanciato dalle forze saudite in Yemen, poco dopo averlo invaso. (Photo credit should read MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images)[/caption]   [caption id="attachment_8690" align="alignright" width="300"] 7 giugno 2017: gruppi terroristici attaccano il Parlamento e il Mausoleo di Khomeini in Teheran.[/caption] Questi sviluppi stanno spingendo i sauditi a modificare la propria collocazione internazionale per cui, dopo anni di sostegno ai gruppi più estremisti, la monarchia saudita deve rifarsi una verginità schierandosi con le posizioni americane e a favore di Israele, in cambio delle dichiarazioni di Washington contro l’Iran, il grande avversario dei sauditi per l’egemonia nel Golfo. La vera colpa del Qatar è quella di non voler andare allo scontro con la repubblica degli ayatollah, con cui ha una collaborazione nel campo dello sfruttamento del gas, che viene considerata come un elemento per bilanciare il potere saudita nella regione. Non può essere casuale che quasi contemporaneamente all’offensiva contro il Qatar terroristi sunniti legati all’Isis abbiano lanciato un pesante attacco contro il parlamento iraniano e il mausoleo dell’ayatollah Khomeini, simbolo teologico e politico dell’Iran contemporaneo e bestia nera per i sauditi. Le radici dello scontro Sia l’Arabia Saudita che il Qatar hanno come religione di stato il wahabismo, una concezione oscurantista e fanatica dell’islam, ed entrambi hanno finanziato lautamente tutti i gruppi radicali sunniti. Ma mentre la monarchia saudita è rigidissima nella sua concezione medievale del potere, forte del controllo sui luoghi santi dell’islam, il Qatar si è rivelato molto più dinamico e intraprendente e, nonostante abbia una superficie inferiore a quella del Lazio, è riuscito a creare una rete informativa internazionale come Al Jazeera che è diventata un riferimento all’interno del mondo sunnita, guadagnandosi anche un proprio spazio tra i media mondiali. La fonte della ricchezza di Doha deriva dalle enormi riserve di gas naturale, le terze al mondo, il che ha anche consentito al piccolo paese del Golfo di fare importanti acquisizioni nel settore industriale, finanziario, immobiliare e in quello sportivo. [caption id="attachment_8691" align="aligncenter" width="999"] Al Jazeera: dal Qatar, è l’unica emittente araba che ha saputo imporsi come voce autorevole nel mondo.[/caption]   I sauditi non possono accettare che il piccolo Qatar faccia una politica indipendente, soprattutto da quando, durante la cosiddetta “primavera araba” finanziarono la Fratellanza musulmana che riuscì ad arrivare al potere in Egitto con la presidenza di Mohamed Morsi per essere poi rovesciata da un colpo di stato sostenuto principalmente dai sauditi. I Fratelli musulmani, che hanno trovato ampia ospitalità sulle reti di Al Jazeera, sono stati molto ridimensionati nel 2013 dopo l’avvento al potere del generale al Sisi in Egitto e questo comportò una prima rottura diplomatica, durata qualche mese, tra Qatar e gli altri stati del Golfo. Non possiamo dimenticare inoltre che a Doha risiede Yussef al-Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli musulmani, che è stato condannato a morte in contumacia in Egitto dopo il golpe di al-Sisi. Nonostante professi un islamismo rigoroso, la Fratellanza musulmana ha sempre considerato la monarchia saudita come corrotta e inaffidabile e per questa ragione Riad la considera come un nemico giurato. Un altro aspetto fondamentale è la cooperazione industriale del Qatar con l’Iran per lo sfruttamento comune di uno dei più grandi giacimenti di gas del mondo. Così facendo, però, Doha rompe il fronte della crociata sunnita contro l’Iran e contribuisce a svelenire il clima di tensione che sta montando nell’area e questo viene ritenuto inaccettabile dalla oscurantista monarchia saudita. Ma oltre a questioni politiche, l’ostilità dei sauditi verso il Qatar ha anche motivazioni personali e risale al colpo di stato del 1995 con il quale Hamad bin Khalifa al-Thani, padre dell’attuale emiro, prese il potere. In quell’occasione i sauditi chiesero addirittura all’Egitto un intervento militare per detronizzare l’usurpatore, ma poi il presidente egiziano Mubarak si tirò indietro. Gli investimenti dell’emiro al-Thani Bisogna anche tener presente il grande attivismo della Qatar Holding sui mercati internazionali che ha portato l’ente qatariota a possedere il 14,6% del colosso Volkswagen, il 6,1% della Deutsche Bank (ma ha già chiesto alla vigilanza tedesca di salire al 10%, puntando secondo indiscrezioni al 25%), il 6,3% della Barclays e il 5% di Credit Suisse. La lista degli investimenti dell’emiro continua con le partecipazioni in Harrods, Sainsbury’s, Royal Dutch Shell, Siemens, Walt Disney, una quota importante in The Shard, il più alto e moderno grattacielo di Londra progettato da Renzo Piano. Il Qatar ha anche puntato molto sul popolare sport del calcio e nel 2011 ha acquistato il 70% dell’importante squadra francese del Paris Saint-Germain (PSG). Il presidente della potente Qatar Investment Authority, l’ex tennista Nasser Al-Khelaïfi, è diventato presidente del PSG con l’intenzione di farlo diventare un squadra di massimo livello internazionale. Nella stessa ottica ha fondato da pochi mesi il Miami City FC con il progetto di portare la squadra in testa alle classifiche americane. L’emirato è riuscito anche ad aggiudicarsi i campionati mondiali di calcio del 2022 (ungendo molte ruote, si dice, e senza risparmio di mezzi). Il fondo sovrano non ha trascurato selezionati investimenti in Italia dove ha rilevato la maison Valentino e la licenza Missoni. Gli al-Thani possiedono inoltre gli spettacolari hotel della Costa Smeralda, stanno costruendo (al costo di 1,2 miliardi di euro) l’ospedale Mater Olbia e stanno acquisendo la linea aerea Meridiana. L’attivismo della finanza del Qatar si vede però soprattutto a Milano, dove l’Emirato è proprietario al 100% del nuovo distretto finanziario della città, l’area di Porta nuova, e questo include l’avveniristica torre dell’Unicredit e il famoso “bosco verticale” progettato da Stefano Boeri. Gli emiri hanno anche acquistato nella città meneghina l’Hotel Gallia, che va ad aggiungersi al Four Seasons e al Baglioni di Firenze e l’Excelsior di Roma. L’emiro non si è però interessato soltanto al settore del lusso ed ha firmato un contratto per 4 miliardi di euro con Fincantieri e Leonardo per la fornitura di sette navi da pattugliamento alla marina del Qatar. Un’altra operazione importante è stata la cessione del 19,5% della russa Rosneft al fondo del Qatar e all’impresa mineraria svizzera Glencore (in cui Doha detiene una partecipazione di 10,2 miliardi). Quest’investimento colossale è stato sostenuto finanziariamente da Intesa San Paolo. [caption id="attachment_8687" align="alignleft" width="3318"] Processione natalizia a Doha, uno dei pochi posti della penisola araba ove le chiese cristiane sono tollerate.[/caption] [caption id="attachment_8692" align="alignright" width="2816"] La chiesa Nostra Signora del Rosario a Doha.[/caption]             Le conseguenze dell’iniziativa di Riad L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno ribadito più volte di non avere intenzione di aggredire militarmente il Qatar, ma le azioni finora intraprese sono un atto di grande ostilità che va a colpire direttamente la vita dei cittadini qatrioti. In questo contesto, la Turchia, che ha una base militare nell’emirato dallo scorso anno, ha svolto un’intensa azione diplomatica perché si giunga al più presto a una soluzione negoziale dello scontro e ha già iniziato a inviare cibo e generi di prima necessità, come ha pure fatto il Marocco. Il presidente turco Erdogan ha definito l’isolamento del Qatar come “inumano e contro i valori islamici”, definendo inoltre “inaccettabili” i metodi usati. Il Kuwait si è ben guardato dal sostenere le posizioni saudite e ha lanciato numerosi appelli per trattative diplomatiche, mentre il suo ministro degli Esteri, Sabah al Ahmad, ha denunciato che questa tensione potrebbe “condurre a conseguenze indesiderabili”. Anche il presidente francese Macron ha fatto un appello per disinnescare la tensione, come pure il presidente russo Putin che parlando al telefono col re saudita Salman ha affermato che la tensione diplomatica non aiuta né a risolvere la crisi siriana né a lottare contro il terrorismo. Lo stesso Pakistan, che ha legami strettissimi con i sauditi ma intrattiene anche rapporti economici con Doha, non ha preso una posizione nella contesa. Gli Stati Uniti, che in Qatar hanno un’importantissima base militare che ospita 10.000 soldati, non sembrano avere una strategia precisa. Il presidente Trump ha fatto dichiarazioni molto avventate in una serie di tweet del 6 giugno dove ha affermato che “è stato così bello vedere che la visita in Arabia Saudita con il re ed altri cinquanta paesi sta già dando risultati. Hanno detto che avrebbero scelto una linea dura sul finanziamento all’estremismo e tutti i riferimenti puntavano in direzione del Qatar. Questo sarà forse l’inizio della fine dell’orrore del terrorismo”. Dopo queste frasi così esplicite, sia il ministro della Difesa Jim Mattis che il Segretario di Stato Rex Tillerson hanno cercato di gettare acqua sul fuoco e hanno assunto una posizione più equidistante, che non compromettesse gli interessi americani nell’area. Ma è un dato di fatto che i sauditi, dopo l’enorme contratto per armamenti sottoscritto, si sentono incoraggiati a proseguire la loro avventuristica offensiva. Secondo l’Huffington Post, l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti negli USA chiede esplicitamente di chiudere la base americana nell’emirato e ha incoraggiato Bob Gates, ex ministro della Difesa statunitense, a prendere una posizione pubblica contro il Qatar. L’unica risposta sembra essere la firma di un accordo appena raggiunto a Washington che vende al Qatar jet da combattimento F-15 per 12 miliardi di dollari, un bell’affare per i produttori americani ma certamente non molto utile per riportare la calma nella regione. Ancora una volta si evidenzia che il vero problema per la stabilità del Medio Oriente è l’Arabia Saudita, praticamente uno stato fallito, incapace di garantire le normali funzioni di una moderna nazione. Tutti gli anni, durante il pellegrinaggio alla Mecca, obbligatorio per ogni buon musulmano almeno una volta nella vita, muoiono centinaia di pellegrini nella calca che si crea intorno alla Pietra Nera, nonostante la presenza di migliaia di poliziotti e soldati. Un massacro rituale (a volte i morti hanno superato i mille) che ormai non fa più scandalo e non attira nemmeno più l’attenzione dei media. Se l’unica strategia americana è quella di vendere armi ai contendenti c’è il rischio che si ottengano gli stessi risultati della brillante operazione della CIA che creò e addestrò in Afghanistan un certo Osama bin Laden per usarlo come ariete contro gli invasori russi. Tutti sanno come è andata a finire quella storia. [caption id="attachment_8693" align="aligncenter" width="204"] Osama bin Laden[/caption]

15 06 2017

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