Quel Lenin sulla collina di Addis Abeba

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di Claudio Cacace Il 21 maggio 1991 fu una data storica per l’Africa. Quel giorno, infatti, mise fine al sanguinoso regime dittatoriale dell’Etiopia di Menghistu. Quest’ultimo era a capo del Derg (Comitato di coordinamento delle forze armate) di ispirazione marxista – leninista dal 1977 che scatenò in tutta l’Etiopia e in tutte le sue province il terrore rosso, in amarico Qey Shibir. Menghistu, sostenuto dai sovietici portò in Africa le purghe staliniane degli anni 30. Deciso all’eliminazione fisica dei suoi avversari concentrò la sua battaglia contro i movimenti separatisti etiopi del Tigray (rappresentati dal Fronte di liberazione del Tigray – TPLF di ispirazione marxista moderata, sostenuto dai socialisti cinesi e albanesi di cui ne faceva parte il futuro ministro etiope Meles Zenawi) e dell’Eritrea guidati dal movimento del Fronte di liberazione del popolo eritreo (FLPE) il cui leader era l’attuale presidente eritreo Isaias Afewerki. Come asserisce Ryszard Kapuscinski nelle pagine di Ebano, Breznev donò al negus rosso una quantità di carri armati sufficiente a conquistare tutta l’Africa, cannoni e Katiusce bastanti a ridurre in cenere il continente africano. In poco tempo l’Etiopia divenne il più grande arsenale a sud del Sahara, così che i sovietici potevano controllare una grossa fetta del continente nero dopo le guerre in Mozambico, Angola e Guinea Bissau. Menghistu era quindi devoto al socialismo sovietico e al padre della rivoluzione bolscevica. In quella che fu chiamata  piazza Lenin ad Addis Abeba, su di una collina, fu eretta una gigantesca statua in bronzo di Lenin, l’unica in tutta l’Africa, questa era al centro di una sorta di barzelletta da parte degli abitanti della città, Lenin era raffigurato con la mano che afferrava il risvolto della giacca e con lo sguardo rivolto verso est, il gioco era che la figura fosse orientata in modo tale che quando il popolo etiope si sarebbe sollevato, Lenin avrebbe mostrato ai leader marxisti dell’Etiopia la strada per l’aeroporto. Da quello stesso aeroporto, il 21 maggio del 1991, a seguito di un’azione congiunta tra la resistenza etiope e quella eritrea, Menghistu ormai isolato internazionalmente, fuggì in aereo dal paese per rifugiarsi in Zimbabwe. Due giorni dopo la cacciata della iena rossa – così come veniva chiamato Menghistu dai guerrieri eritrei – migliaia di persone di tutte le etnie del paese si riversarono in piazza Lenin, dove la statua fu fatta abbattere rappresentando così un momento storico per i due paesi del corno d’Africa. L’Eritrea poté dichiararsi indipendente e l’Etiopia instaurò un sistema federal-democratico con a capo del governo i membri del TPLF. Quel giorno tra la gioia del popolo festante, finì la violenta campagna di repressione della giunta del derg che secondo le stime delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, portò in 17 anni di regime la morte di circa 500000 persone.   [caption id="attachment_9211" align="aligncenter" width="736"] Colonel Mengistu Haile Mariam and Fidel Castro of Cuba[/caption]]]>

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