di Galliano Maria Speri

L’India è oggi seconda soltanto alla Cina per numero di abitanti ed è uno dei Paesi a più alto tasso di sviluppo economico. Uno studio della Pricewaterhouse Cooper afferma che nel 2050 sarà la seconda economia mondiale. Sono però presenti nel tessuto sociale e produttivo contraddizioni profonde e drammatiche che devono essere affrontate e sanate perché l’India possa giocare adeguatamente il ruolo del gigante economico e (forse) politico.

La storia indiana inizia intorno al 5000 a.C. con la nascita della grande civiltà del fiume Indo e il successivo arrivo della popolazione degli ariani. Ci sono paralleli significativi tra questi sviluppi e quelli, molto più noti e meglio studiati, che avvennero in Mesopotamia e in Egitto, come lo sviluppo della scrittura, l’adozione di pesi e misure standard e la nascita dell’architettura monumentale.

Il fiume Indo

L’India può essere quindi considerata a ragion veduta parte integrante di quello che gli storici hanno definito la “culla della civiltà”. L’archeologo Vere Gordon Childe ha scritto nel suo New Light on the Most Ancient East (pubblicato per la prima volta nel 1934) che “già nel 3000 a.C. l’India si contrappone all’Egitto e a Babilonia con una civiltà completamente individuale, indipendente e tecnicamente allo stesso livello delle altre due, e profondamente radicata sul suolo indiano”. Non intendiamo certo ripercorrere in poche righe migliaia di anni di storia, ma soltanto sottolineare che, mentre i moderni eredi di quelle due antiche civiltà sono afflitti da crisi profonde e sono molto marginali sullo scenario internazionale, l’India è in costante ascesa.

Radici millenarie

Nel III secolo a.C. l’imperatore Ashoka favorì notevolmente la diffusione del buddismo e riuscì ad imporre il proprio dominio su un territorio che si estendeva dall’Afghanistan, fino all’odierno Bangladesh, includendo quasi tutto il subcontinente indiano. Dal 1200 in poi, l’India fu costantemente attaccata da ondate di conquistatori islamici, fino a quando Babur, un discendente di Tamerlano, riuscì a creare l’impero Moghul che sotto il suo successore Akbar si estese a quasi tutta l’India settentrionale, fino a raggiungere il suo apogeo con Aurangzeb (1658-1707). Nel XVIII secolo il potere dei Moghul inizia a sgretolarsi e questo apre la strada alla penetrazione europea. Si dà quasi per scontato che i primi colonizzatori furono gli inglesi, mentre fu invece il francese Joseph François Dupleix che nel 1715 arrivò in India e cercò di allargare l’influenza francese servendosi della Compagnia francese delle Indie Orientali. Questo portò allo scontro con la potente Compagnia britannica delle Indie orientali che, alla fine, risultò vincitrice e riuscì a espellere gli interessi francesi dal territorio. Per circa un secolo l’India fu amministrata non dal governo inglese, ma da funzionari della Compagnia delle Indie orientali che sfruttarono spietatamente le risorse naturali del territorio.

Sede della Compagnia delle Indie orientali. Acquerello di Thomas Malton il giovane.

Un esempio eloquente di come il paese venisse considerato semplicemente una fonte di profitto viene dall’operazione con la quale la Compagnia delle Indie Orientali cercò di risolvere il problema della bilancia degli scambi commerciali con la Cina. Prima di riuscire a coltivare con successo il tè a Ceylon, gli inglesi erano costretti a importare dalla Cina le grandi quantità di prodotto richieste dal mercato interno. Questo creava però un profondo scompenso nella bilancia dei pagamenti, poiché i cinesi accettavano soltanto argento come mezzo di pagamento per il tè e la porcellana (l’altro prodotto cinese richiesto dal mercato inglese). Gli inglesi, che non possedevano miniere d’argento, erano costretti a rifornirsi di questo metallo per poi usarlo per pagare le merci cinesi. Ben presto ebbero l’idea di procurarsi l’argento coltivando oppio nel Bengala, in prossimità del confine cinese, ed esportarlo poi nel Celeste impero con enormi profitti. In breve tempo, l’esportazione di oppio in Cina aumentò a livello esponenziale, tanto che l’imperatore cinese, di fronte al drammatico drenaggio di risorse che stavolta andava dalla Cina verso l’amministrazione inglese, tentò per ben due volte di capovolgere la situazione. Ne derivarono le ben note guerre dell’oppio che video la sconfitta della Cina e sancirono la penetrazione commerciale stabile dell’impero britannico sul suolo cinese.

Nel 1857 ci fu un primo sollevamento della popolazione indiana che iniziò con la ribellione dei sepoy, i soldati indiani che facevano parte dell’impero britannico, che fu schiacciata brutalmente. Gli storici inglesi definiscono l’evento “Ammutinamento indiano”, mentre gli storici indiani lo chiamano “Prima guerra d’indipendenza”. La situazione precipitò e il governo britannico decise di sollevare la Compagnia delle Indie orientali dal suo ruolo e amministrare direttamente il Paese. L’India divenne il “gioiello più prezioso della nostra corona” tanto che la regina Vittoria ne fu incoronata imperatrice il 1 maggio del 1876. L’oppressione coloniale stimolò lo sviluppo di un movimento nazionalista che, nel 1885, portò alla nascita del Congresso Nazionale Indiano, la più grande organizzazione pubblica del Paese. Nel 1906 i musulmani, che temevano di ritrovarsi minoranza all’interno di uno stato indipendente, fondarono la loro organizzazione politica, la Lega Musulmana. Le idee di Mohandas Gandhi (oggi conosciuto come Mahatma, che significa “grande anima”) e le sue strategie non violente fecero fare un salto di qualità al movimento fino al raggiungimento dell’indipendenza nel 1947 che portò alla nascita di due stati, l’India a maggioranza indù, e il Pakistan a maggioranza musulmana, con una propaggine orientale che ottenne a sua volta l’indipendenza nel 1971 per diventare il Bangladesh. Il giorno che doveva finalmente segnare la liberazione dal giogo coloniale fu invece tragico perché gli scontri tra indù e musulmani iniziarono quasi immediatamente. Milioni di indù e musulmani furono costretti a fuggire verso l’India o il Pakistan, per evitare di rimanere vittime degli opposti fanatismi. Tutti gli sforzi di Gandhi di mediare tra le fazioni in lotta si rivelarono vani, tanto che lo stesso Mahatma venne ucciso da un fanatico indù il 30 gennaio del 1948.

Come abbiamo già ricordato precedentemente, i musulmani in India sono circa il 15 per cento della popolazione e, soprattutto da quando è andato al potere il Bharatiya Janata Party (BJP), un partito nazionalista di forte ispirazione indù, ci sono stati scontri violenti con la minoranza islamica, a volte con centinaia di vittime, per cui il problema che portò alla nascita di due stati indiani nel 1947 non è mai stato veramente risolto. Il grande messaggio pacifista di Ghandi, l’indiano più famoso e stimato nel mondo, sembra essere stato dimenticato e il luogo a Delhi dove fu cremata la salma si trova all’interno di un parco poco curato, senza sorveglianza e senza quei segni che dovrebbero invece indicare un personaggio della sua statura morale.

I grandi numeri

La popolazione indiana arriva oggi a un miliardo e 342 milioni di cittadini (cinquanta milioni in meno della Cina) e continua rapidamente a crescere, anche se il tasso di natalità, grazie allo sviluppo economico, è in progressiva diminuzione. Nel 1901, l’anno della morte della regina Vittoria, gli indiani erano 238 milioni per arrivare cinquant’anni dopo a 360. Il tasso di natalità che nel 1955 era di 5,90 è oggi sceso a 2,41, un livello quasi occidentale, mentre l’età media è passata dai 20,8 anni del 1955 ai 27 di oggi. Secondo gli specialisti, è questa enorme forza lavoro giovanile che rappresenta la speranza del futuro e potrà consentire una crescita economica vigorosa. Per avere un’idea di quanto cresca l’economia dobbiamo ricordare che nei quasi dieci anni della crisi mondiale iniziata nel 2008, durante i quali l’Italia ha perso molti punti di Prodotto Interno Lordo (PIL), l’India è cresciuta tra il 5,5% e l’8%, senza accusare nessun problema particolare. E si tenga conto che il Paese è sviluppato a macchia di leopardo per cui gli stati più ricchi crescono a un tasso simile a quello di molti Paesi occidentali. L’Asian Development Bank prevede una crescita del 7,4% per il 2018. Nella graduatoria delle dieci principali economie del mondo, l’India è settima (davanti all’Italia), dietro la Francia e la Gran Bretagna (ma secondo altri dati ha già superato la Francia che si dibatte da tempo in una crisi di crescita).

I punti di forza dell’economia indiana sono una limitata dipendenza dalle esportazioni, un alto tasso di risparmio, un andamento demografico favorevole e una classe media in ascesa. Recentemente, l’India ha superato la Cina nel tasso di crescita e, secondo proiezioni basate sui dati del Fondo Monetario Internazionale, si stima che per il 2022 possa arrivare al quarto posto dell’economia mondiale, per piazzarsi poi al secondo posto, nel 2050, secondo lo studio ricordato all’inizio. Le università indiane sfornano ogni anno un numero impressionante di ingegneri che riescono a trovare lavoro in un’economia in espansione e a cui danno un ulteriore contributo, innescando un ciclo virtuoso. Ovviamente, ci sono anche gli aspetti negativi, come il numero ancora elevatissimo delle persone al di sotto della soglia di povertà. Secondo i dati più recenti della Banca Mondiale, nel mondo ci sono 873 milioni di poveri di cui, circa un terzo vive in India. La Press Trust of India di New Delhi, ha appena pubblicato dati secondo i quali oltre 194 milioni di indiani soffrono la fame. Il problema non è nella carenza della produzione alimentare, che ha raggiunto da tempo l’autosufficienza, ma nella distribuzione e stoccaggio dei cibi. L’assurdo è che l’India produce oltre 15 milioni di tonnellate di grano in eccesso che sarebbero sufficienti per sfamare tutti, ma che non riescono ad arrivare a chi ne ha bisogno. Per risolvere questo problema si dovrebbero realizzare grandi investimenti infrastrutturali, come strade e ponti, in modo da consentire agli agricoltori di esportare i propri prodotti a prezzi competitivi.

Le guerre passate, le prospettive future

Quando si viaggia per il Paese si incontrano moltissimi militari e tutte le grandi città hanno grandi caserme dell’esercito. La professione militare è ben pagata e considerata fonte di prestigio sociale. Il ruolo dei militari è spiegabile dal fatto che la regione settentrionale del Kashmir è tutt’ora oggetto di una disputa territoriale con il Pakistan e non sono infrequenti scontri di confine. Non dobbiamo poi dimenticare che l’India e il Pakistan possiedono entrambi l’arma nucleare. Da un punto di vista strategico, però, non è il Pakistan a rappresentare il più probabile avversario dell’esercito indiano. È vero che i due Paesi hanno combattuto diverse guerre, la prima nell’ottobre del 1947 per la spartizione del Kashmir, che rimane ancora irrisolta. Un secondo conflitto esplose nel 1965, quando i pachistani cercarono di infiltrare dei propri uomini in Kashmir per scatenare un’insurrezione anti indiana. Lo scontro causò migliaia di morti su entrambi i fronti e vide il più grande schieramento di carri armati dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1971 lo sceicco Mujibur Rahman, guidò un movimento per proclamare l’indipendenza del Pakistan orientale ed ebbe uno scontro durissimo con Zulfikar Alì Bhutto, presidente del Pakistan. Dieci milioni di bengalesi fuggirono in India che si schierò per l’indipendenza del Bangladesh e si scontrò col Pakistan. L’ultimo conflitto è avvenuto nel 1999 nella regione di Kargil e costò la vita a 4.000 militari pachistani. Per quanto riguarda la Cina, c’è stato un solo confronto militare, nel 1962, per la disputa su un confine himalayano, dopo che le tensioni tra i due Paesi erano salite a causa dell’asilo concesso dall’India al Dalai Lama, fuggito dal Tibet dopo la conquista militare cinese. La guerra fu vinta dai cinesi che conquistarono e occuparono un territorio chiamato Aksai Cin. L’esercito indiano si dimostrò incompetente e inefficace.

Fregate classe Cheng Kung

Un raffronto tra l’esercito indiano e quello cinese mostra una schiacciante superiorità numerica da parte della Cina (2 milioni e 353mila uomini in armi, contro 1 milione e 200mila soldati indiani) e, soprattutto, una diversa strategia militare. Negli ultimi dieci anni la Cina ha fatto investimenti massicci per sviluppare il proprio esercito e la propria marina che è stata coinvolta in una prepotente campagna di espansione territoriale. Molti scogli e isolette del Mar cinese meridionale sono stati cementificati e militarizzati in pochissime

settimane e proclamati territorio cinese. In questo modo, e senza incontrare accese resistenze, la Cina si trova a giocare un ruolo cruciale in una vastissima area che è la porta di casa dell’India. Tutti i governi indiani degli ultimi decenni si sono concentrati soprattutto sulle grandi problematiche interne e non hanno mai mostrato un grande interesse per la propria proiezione internazionale. La crescita rigogliosa dell’economia sta trasformando il Paese in un colosso di cui bisogna cominciare a tenere conto ma, sembra, che la classe politica indiana non abbia ancora preso atto di questa situazione. I cinesi ne sono invece perfettamente coscienti e stanno silenziosamente allargando la loro sfera di influenza molto oltre i propri immensi confini geografici (basti pensare alla politica di Pechino in Africa). In prospettiva, non sarà certo il Pakistan a rappresentare un problema per l’India ma lo scomodo vicino cinese.

(terza e ultima parte)

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